In questi giorni è stata varata la manovra finanziaria 2015.
La manovra è basata su quattro pilastri: taglia della spesa
alla pubblica amministrazione, riduzione della pressione fiscale, cancellazione
della componente lavoro dal irpef e azzeramento dei contributi per i nuovi
assunti.
Ma manovra rispetta il limite del 3% imposto dalla unione
europea ma a differenza delle precedenti manovre ha caratteristiche
marcatamente espansive. Rispetto a tutte le manovre fatta dal 2011 in poi, che
prevedevano solo tagli lineari, senz’altro si tratta di una novità.
Questa finanziaria può essere considerata la versione “timida”
della manovra espansiva francese che è invece stata molto più profonda. Il
governo francese si è infatti ribellato ai limiti imposti della UE varando una
manovra che prevede lo sforamento del rapporto deficit/pil fino al 4,2%.
Il governo italiano presenta una versione “dolce”, dai
contenuti espansivi ma comunque rispettosa dei limiti imposti dalla UE.
Sarà efficace questa manovra?
La risposta a questa domanda non è semplice perché per valutare
l’efficacia dei provvedimenti bisognerà come minimo far passare tutto il 2015.
Ci sono tuttavia due questione estremamente importanti che
determineranno o meno il successo di questa manovra: la prima riguarda il
tempo, la seconda il funzionamento del sistema italiano.
La manovra espansiva arriva in Italia con quattro anni di
ritardo. Già nel 2011, quanto la crisi italiana diventò evidente, l’Italia
avrebbe avuto bisogno di una manovra espansiva per evitare effetti nefasti sull’occupazione
ed in generale sull’industria. Allora si scelse la politica dei tagli lineari
compromettendo una situazione economica già negativa. Le manovre degli anni
successivi hanno continuato sulla strada tracciata dal governo Monti aggravando
la situazione. Il 2014 è il primo anno in cui si è abbandonato questo approccio
ma ormai è lecito chiedersi se non sia troppo tardi.
Come insegna la lezione della crisi del 1929, le manovre
espansive per essere efficaci devono impiegare moltissime risorse ed essere
condotte con estrema decisione. Il rischio attuale e che sia ancora troppo
poco. Che un semplice taglio delle imposte non basti più nella situazione in
cui versa l’Italia.
I danni all’economia negli ultimi 3 anni sono stati ingenti:
la disoccupazione è salita al 13%, quella giovanile al 44%, 14269 imprese hanno
fallito nel 2013 ed il numero potrebbe salire nel 2014, la cassa integrazione
pesa per quasi 500 milioni sui conti pubblici, più di 80.000 italiano per il
70% laureati o comunque ad alta qualifica lasciano ogni anno il paese.
Si tratta di numeri molto pesanti davanti ai quali è lecito
chiedersi se la manovra basterà oppure se sarà necessario un intervento molto
più incisivo.
Il secondo punto riguarda la capacità delle regioni di
tagliare gli sprechi e di evitare un aumento delle tasse in periferia. L’idea
di tagliare le imposte sul lavoro è molto buona ma anche qui occorre chiedersi
se non è troppo tardi. Il volume del lavoro in Italia è ridotto al minimo.
Basteranno alcuni sgravi fiscali per far riprendere le assunzioni?
Con questa manovra si dimostra la volontà di tagliare le
imposte ma la volontà del governo centrale corrisponderà con quella delle
regioni?
Servirà uno sforzo a livello regionale per tagliare sprechi
e spese inutili ma non è affatto certo che ciò accadrà. Potrebbe quindi
accadere che la politica dei tagli lineari abbandonata dal centro venga ripresa
dalla periferia.
Sembra che con questa manovra siano stati introdotti alcuni
cambiamenti di mentalità ma per valutarne l’efficacia sarà necessario aspettare
come minimo un anno.
D.Deotto
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