venerdì 29 agosto 2014

L'AUSTRIA SI RIBELLA ALL'AUSTERITY




Pochi giorni fa il ministro delle finanze austriaco Michael Spindelegger si è dimesso dal suo incarico: era stato messo sotto accusa dal suo stesso partito per essere stato incapace di ridurre le tasse per far ripartire l’economia.
Il ministro si era difeso affermando che era necessario per l’Austria rispettare una rigida austerity e fare riforme strutturali. Egli si appellava alle parole del ministro delle finanze tedesco che aveva sentenziato: “Non ci sono cambiamenti di rotta perché la necessità di riforme strutturali e finanze solide restano la giusta lezione della recente crisi dei debiti. Abbiamo bisogno di riforme strutturali in Germania e in Europa per garantire che le nostre economie restino competitive”.
Di diverso avviso pare essere il partito popolare austriaco (OVP) che ha deciso di sfiduciare il suo ministro. Spindelegger non era solo il ministro delle finanze ma pure il presidente del partito. Il poco gradimento nei confronti del suo progetto di riforma fiscale è stato interpretato dal ministro stesso come un segnale di sfiducia nei suoi confronti tanto da aver provocato le sue dimissioni anche come capo del partito.
Sono ormai anni che in Austria c’è un acceso dibattito tra europeisti ed euroscettici ed ultimamente sembra che questi ultimi siano vincenti tanto che il paese è oggi considerato, dopo l’Ungheria, la roccaforte europea dell’euroscetticismo. Tale appellativo è stato acquisito dopo il clamoroso 20% preso dal Fpoe alle elezioni europee. Oltre a ciò vanno aggiunti i risultati ottenuti da altri partiti euroscettici tra cui il l’antieuropeista EU-stop che prese il 2,6%. Insomma dalla somma di tutti i partiti euroscettici ed antieuropei risulta che il 25% degli austriaci è fortemente critico nei confronti dell’Unione.
L’alta percentuale ottenuta dal Fpoe ha costretto popolari e socialdemocratici ad un governo di coalizione che si regge su una maggioranza striminzita.
Il OVP, preoccupato dal suo calo di consensi, ha progressivamente virato da una politica economica filo-austerity a richieste di maggiore flessibilità.
In particolare correnti interne al partito molto vicine al Fpoe chiedono una programma di drastiche riduzioni fiscali che abbia come obbiettivo rilanciare l’economia del paese.
Queste linea viene ferocemente criticata dai fautori dell’austerity che ritengono impossibile una diminuzione della pressione fiscale se si vogliono rispettare i limiti di bilancio.
La polemica interna al OVP è stata evidentemente alimentata dal grande successo del Fpoe il sui leader Heinz-Christian Strache si era presentato alle elezioni con un programma basato su due fondamentali punti: una drastica riduzione fiscale e la limitazione all’accesso degli immigrati nel paese prevedendo addirittura la sospensione degli accordi di Schengen.
Il leader austriaco ha inoltre affermato di non essere antieuropeo ma solo contrario all’euro ed allo sviluppo preso dalle istituzioni europee. Egli affermò che non bisogna essere favorevoli alla Unione Europea a tutti i costi. L’integrazione europea è nata con l’obiettivo di aumentare il benessere del continente e se ciò non avviene è lecito chiedere agli austriaci tramite referendum se intendono ancora rimanere in Europa.
Immigrazione e riduzione delle tasse sembrano essere i due grandi problemi attorno ai quali si sta concentrando il dibattito politico in Austria. Le politiche di austerity stanno danneggiando particolarmente il paese che oggi chiede a gran voce una cambio di rotta.
Quanto successo ai nostri vicini dimostra che in Europa il dibattito sulle politiche economiche è tutt’altro che chiuso ed ora anche i partiti tradizionalmente più europeisti cominciano a sviluppare al proprio interno violenti dibattiti. Insomma l’europeismo a tutti i costi sembra diventare sempre più un problema soprattutto a destra.

D.Deotto

mercoledì 27 agosto 2014

LA PARABOLA DEL GOVERNO RENZI: DA 100 GIORNI PER LE RIFORME ALLA PROMESSA DEI 1000 GIORNI.



A febbraio Matteo Renzi veniva nominato presidente del consiglio dopo aver vinto le primarie del Partito Democratico ed annunciava trionfalmente che avrebbe cambiato l’Italia in 100 giorni al ritmo di una riforma al mese: riforme istituzionali, riforma del lavoro, riforma della pubblica amministrazione e chi più ne ha più ne metta. Sembrava che finalmente l’Italia avesse trovato il suo paladino per la riscossa.
Sono passati otto mesi ed il governo si trova in una situazione decisamente diversa: tante proposte, tante promesse e pochi risultati.
Durante la campagna elettorale delle primarie Renzi aveva promesso l’abolizione del senato ed una riforma elettorale sul modello di quella vigente nei comuni. Fino ad ora l’unico progetto presentato è stato l’Italicum che, oltre ad essere diverso da quelle promesse, non è ancora stato approvato. Per la verità è persino probabile verrà modificato. L’unica riforma istituzionale che è passata, dopo innumerevoli difficoltà, è la riforma del senato che comunque non verrà abolito ma solo ridotto di numero, reso non elettivo e non indispensabile per la fiducia al governo.
Per quanto riguarda la riforma del lavoro in campagna elettorale Renzi prometteva il contratto a tutele progressive che avrebbe sostituito tutti gli altri contratti. Ad oggi in cantiere c’è il Job Act, un progetto molto meno ambizioso che non va in ogni caso a toccare certi privilegi acquisiti e si limita a qualche modifica ai contratti a tempo determinato senza però un disegno organico generale.
In campo fiscale non c’è stata alcuna diminuzione delle tasse e nemmeno l’ombra di una riforma fiscale. Unico provvedimento quello degli 80 euro che non ha raggiunto i risultati sperati e, viste le condizioni del paese, era facilmente prevedibile.
La riforma della pubblica amministrazione è stata presentata in aula dal ministro Marianna Madia. E’ di per se un progetto ambizioso e positivo, che potrebbe addirittura portare alla creazione di 15.000 nuovi posti di lavoro. Sin da subito tuttavia è stato osteggiato da ogni parte ed è ancora lontano dalla approvazione.
In 100 giorni Franklin Delano Roosvelt cambiò il volto agli Stati Uniti e ridiede speranza ad un paese prostrato dalla crisi economica. Renzi pare non sia ancora riuscito a fare lo stesso tanto che ora ha fatto presente agli italiani che gli serviranno 1000 giorni per cambiare il paese.
Al momento però i risultati sono molto deludenti: tanti selfie, tante slide, tante promesse ma risultati ben scarsi.
La realtà è che Renzi si trova a governare un paese con la stessa maggioranza che aveva Letta.
Una maggioranza composta prevalentemente composta dalla vecchia guardia del PD, la stessa che Renzi aveva sconfitto alle primarie ma che oggi si ritrova in parlamento in quanto figlia delle elezioni del 2012.
Ai deputati e senatori del PD si è aggiunta una pattuglia di NCD andando così a comporre una strana maggioranza che molto ricorda le larghe intese che hanno sostenuto i precedenti governi.
L’unica riforma che il governo Renzi è riuscito ad approvare è la riforma del senato frutto di un accordo con Forza Italia ed il cui voto è stato decisivo per l’approvazione. Per il presidente del consiglio infatti è stato più facile trovare una intesa con gli oppositori che mettere d’accordo il proprio partito.
La stessa proposta di riforma elettorale è nata dal così detto “Patto del Nazareno” ed ha creato molti malumori all’interno del PD tanto che ancora oggi non si sa che ne sarà.
Il governo ha poi messo in atto e difeso l’impopolare operazione “Mare Nostrum” che non ha risolto in alcun modo il problema dell’immigrazione ed ha al contrario dilatato le spese. Milioni di euro vengono ogni giorno gettati al vento per operazioni di recupero e per mere opere di mantenimento dei richiedenti asilo.
Nemmeno in Europa il governo è stato capace di far sentire la sua voce: la politica del rigore è più forte che mai e non si vedono all’orizzonte cambiamenti significativi ancor meno dopo il rimpasto avvenuto nel governo francese.
Ci chiediamo a questo punto se Renzi sia in grado di mantenere le promesse fatte: al momento pare proprio molto difficile.
A questo punto non sarebbe forse il caso di concentrarsi esclusivamente sulla riforma elettorale e, dopo aver trovato una intesa, andare al voto? Questo non risolverebbe in alcun modo i problemi degli italiani ma almeno permetterebbe loro di scegliere una proposta elettorale ed il nuovo governo eletto avrebbe a disposizione un maggioranza in grado di governare e di fare le riforme promesse.
Forse era quello che sarebbe stato meglio fare sin dall’inizio! 

D.Deotto

lunedì 25 agosto 2014

EMERGENZA PROFUGHI A FORNI AVOLTRI





Forni Avoltri è un piccolo comune di 652 abitanti situato nell’alta Val Degano poco prima di entrare in Veneto. E’ il paese più a nord della Carnia ed ha una storia abbastanza antica.
Sebbene abitato già in epoca romana, il paese deve il suo sviluppo intorno al 1300 quando ricevette la concessione per l’estrazione del ferro.
Forni Avoltri segue la storia del resto del Friuli facendo parte prima del Patriarcato di Aquileia, poi della Serenissima. In epoca veneziana il paese sarà utilizzato anche per ricavarne legname.
Durante la grande guerra il paese fu sgomberato ed usato come base di rifornimento per le truppe di prima linea.
Attualmente l’economia del paese si basa sul turismo, sullo stabilimento dell’acqua minerale “Goccia di Carnia” e sull’estrazione del pregiato marmo “fior di pesco carnico”.
Il paese conta la presenza di 67 imprese e rientra nell’ambito delle zone svantaggiate a causa della posizione geografica.
Questo piccolo comune si è trovato al centro di un fatto piuttosto grave che rischia di minarne le finanze: il mese d’aprile l’amministrazione comunale dovette ospitare alcuni profughi provenienti da Lampedusa.
Con il tempo i profughi hanno presentato richiesta di asilo e se ne sono andati dal paese ed è proprio qui che sono iniziati i guai per il piccolo comune carnico. Tre mesi dopo il comune di Forni Avoltri si è visto recapitare una fattura di 10.000 euro a suo carico per il mantenimento dei minori che facevano parte del gruppo di profughi ospitati nel paese mesi prima. Formalmente il tribunale dei minori di Trieste aveva affidato la custodia di quei bambini al piccolo comune carnico che ora doveva accollarsene le spese di mantenimento.
Non è finita qui: i 10.000 euro sono soltanto una parte dei 25.000 euro che il comune deve versare per il mantenimento dei minori, i quali dovranno essere mantenuti dal comune fino al raggiungimento della maggiore età.
Questa spesa imprevista ha subito messo in allarme l’intera amministrazione comunale che non può permettersi una spesa così elevata. Il comune rischia così il default.
Il sindaco Clara Vidale si è già mobilitata scrivendo alla questura di Tolmezzo ed al ministro dell’interno Angelino Alfano per chiedere un intervento immediato. Il comune non è in grado di far fronte a quella spesa imprevista. Il sindaco inoltre fa presente che l’affidamento di quei minori è avvenuto all’insaputa del comune e dopo che questi erano stati trasferiti.
E’ così che un piccolo comune carnico rischia di andare in default per quello che avrebbe dovuto essere un gesto di solidarietà.
Questo esempio serve per far capire quali siano le conseguenze negative di Mare Nostrum per il territorio: anche nel nostro Friuli, un comune rischia il fallimento a causa di scellerate politiche ideologiche riguardo l’immigrazione.
L’operazione Mare Nostrum, iniziata quasi un anno fa come operazione d’emergenza, è oggi diventata permanente tanto che molto presto il governo “festeggerà” il primo compleanno dalla sua nascita.
Mentre la Spagna di Rajoy è impegnata nel respingimento degli immigrati a causa delle difficoltà economiche che sta attraversando il paese iberico, l’Italia, che in quanto a crisi non ha nulla da invidiare alla Spagna, si permette di spendere milioni di euro per ricevere quasi 1000 immigrati al giorno. Immigrati che finiscono per gravare sulle già esigue finanze dei comuni italiani.
Prendiamo atto che per il governo centrale i soldi per gli italiani non ci sono, per gli stranieri sì!  

D.Deotto