La recessione tecnica in cui è caduta l’Italia è senz’altro
l’argomento principe di una estate tutta da dimenticare. Alle cattive
prestazioni economiche si è aggiunto anche un clima ostile che ci ha fatto
vivere il mese d’agosto più freddo e piovoso da un secolo a questa parte.
Questo tuttavia non vuole essere il solito articolo che
parla di statistiche economiche: con la crisi siamo tutti diventati provetti
contabili ma abbiamo forse dimenticato che l’economia non è solo matematica ma
è anzitutto parte delle scienze sociali e quindi i suoi problemi andrebbero
trattati in maniera differente.
E’ fuori discussione che la crisi italiana sia una crisi
economica ma è senz’altro parte di una crisi sociale e culturale molto più
profonda che ormai attanaglia il paese da 25 anni.
Essa si è concretizzata
nella incapacità della società a cambiare ed a trovare una risoluzione a
problemi specifici.
La società italiana si è divisa tra chi non ha volutamente
chiuso gli occhi e tra chi si è lasciato prendere da un eccessiva esterofilia
che l’economista Luigi Zingales chiama “sindrome dello straniero salvatore” nel
suo libro “Europa si o no?”
Chi non vedeva nessun problema non si è mai impegnato a
proporre nessun cambiamento sperando erroneamente che tutto sarebbe rimasto
uguale e che tutto sommato questa situazione avrebbe fatto comodo a tutti.
Chi invece a ha tentato di proporre qualcosa ha usato la
tattica del “buttiamoci in avanti col cuore e speriamo che tutto vada bene”.
Entrambi gli atteggiamenti hanno prodotto danni al paese:
nel primo caso si sono creati degli irrigidimenti di tipo corporativo che
impediscono ogni adattamento, anche necessario, della società. Nel secondo caso
si sono prodotti cambiamenti non necessari dettati solo da uno spasmodico
spirito esterofilo.
Nel periodo incluso tra il 1990 ed il 2014 non è vero che
l’Italia non abbia fatto alcun tipo di riforma: ne ha fatte dove non
servivano. I due esempi forse più lampanti sono l’introduzione dell’euro e
l’adesione al processo di Bologna con conseguente riforma dell’istruzione e
dell’università.
Nel primo caso si tratta di una scelta di politica
economica: il duo Ciampi-Prodi aveva deciso che da quel momento in poi l’Italia
avrebbe adottato una politica di tassi di cambio fissi. L’obiettivo era evitare
il continuo ricorso alle svalutazione competitive e tenere bassa l’inflazione.
Il problema di questa decisione però è stata che non si sono adeguate le
politiche economiche al mutato contesto: se l’Italia aveva intenzione di
passare ad una moneta forte avrebbe dovuto avviare delle riforme strutturali ed
un ammodernamento delle infrastrutture di grande portata al fine di diventare
allo stesso livello dei francesi e dei tedeschi. Ciò non è stato fatto. Al
contrario l’entrata nell’Euro da parte dell’Italia è stata un evento passivo in
cui si è addirittura fatti imporre un tasso di cambio molto sfavorevole. Ciò è
successo perché chi ha gestione il nostro ingresso nell’area euro era convinto
che sarebbe stata l’Europa a costringerci a fare le riforme e quindi bastava
semplicemente aderire all’unione monetaria come atto di fede.
E’ stato un grande peccato di ottimismo: spesso gli italiani
commettono l’errore di considerare gli stranieri come “portatori di civiltà”
animati da spiriti di giustizia universali. In realtà gli altri stati si sono
limitati a perseguire i propri interessi senza alcuna vocazione altruistica.
L’unione monetaria ha rappresentato per la Francia una occasione per tenere
sotto controllo una Germania nuovamente unificata mentre per i tedeschi
l’unione era una occasione per imporre a tutto il continente un certo modello
di politiche economiche a loro favorevoli. Un Italia posta all’esterno della
moneta unica poteva essere una pericoloso concorrente quindi era meglio far
entrare gli italiani a prescindere dal fatto che fossero pronti o meno ad
entrare.Sarebbe, per esempio, bastato vincolare la nostra entrata ad una revisione dei tassi di cambio o ad una migliore organizzazione della BCE ed anche noi avremmo fatto i nostri interessi.
Un errore simile è stato commesso nell’ambito dell’istruzione:
uno dei problemi principali in Italia è la netta divisione tra mondo della
scuola e mondo del lavoro, che rende difficile l’inserimento in quest’ultimo
alla fine del proprio percorso scolastico.
Sulla scia del processo di Bologna l’Italia ha voluto a
tutti i costi adeguarsi alle nuove normative.
Avrebbe potuto essere l’occasione per unire il mondo della
scuola a quello del lavoro invece il governo si è limitato ad aumentare il
numero dei corsi di laurea ed a introdurre in maniera discutibile il modello
del 3+2.
Anche per questa riforma ci è stato detto che “ce la
chiedeva l’Europa” ma cosa hanno fatto i nostri partner europei? Gli inglesi
non si sono mai adattati al processo di Bologna tant’è vero che l’università
inglese ha mantenuto la propria impostazione originaria. La Germania ha
introdotto il 3+2 adattandolo alle necessità di un maggior collegamento con il
mondo del lavoro. C’è da dire che nell’ambito delle facoltà ordinistiche
l’organizzazione è invece rimasta invariata.
Ancora una volta i nostri partner europei hanno pensato
nella chiave di un’ottica di interesse nazionale mentre noi abbiamo fatto
l’esatto opposto. Ed è proprio qui uno dei motivi della crisi italiana.
Nel nostro paese si è ormai smesso da tempo di guardare la
società, studiarla, capirla e cercare di comprendere i meccanismi che
funzionano e quelli che invece non funzionano.
Ci si è abbandonati ad un pericoloso eccesso di esterofilia
introducendo nella nostra società leggi e consuetudini di altri paesi senza
nemmeno chiederci se tali leggi avrebbero potuto funzionare in un contesto
diverso da quello originario.
Intendiamoci bene, saper guardare aldilà dei propri confini
e guardare l’esempio di chi ha saputo cavarsela meglio è di vitale importanza
per qualunque nazione. Occorre tuttavia sempre adattare i modelli importati da
altri nazioni alle esigenze locali.
L’Italia da troppo tempo è in preda ad una forte mancanza di
autostima che le impedisce di analizzarsi e di cambiare. Finchè non impareremo
a guardare noi stessi e a cercare di capire cosa sta succedendo non riusciremo
mai a risolvere i nostri problemi. Ci limiteremo a guardare ed ammirare gli altri attribuendo loro intenti che non hanno e saremmo incapaci di tutelare i nostri interessi.
Continueremo così a fare leggi inutili giustificandole con "ce lo ha chiesto l'Europa" senza però affrontare quelle che sono le vere emergenze del paese.
D.Deotto
Nessun commento:
Posta un commento
scrivi la tua opinione...