sabato 6 dicembre 2014

GLI ERRORI STRATEGICI DELL'ITALIA: DAL BOOM ECONOMICO AL DECLINO




Verso la fine degli anni ’80 l’Italia era un paese prospero. Seppur non fosse ancora arrivata al livello delle principali potenze europee, essa godeva di un livello di sviluppo economico molto buono che poteva essere utilizzato come base per emergere come potenza. Va infatti ricordato ai lettori che uno stato è considerato una grande potenza nel momento in cui ha raggiunto un certo grado di sviluppo in tutti i settori rilevanti (politico, economico, militare e culturale). Lo sviluppo economico degli anni 80 e l’adesione alla Nato e Cee avevano garantito all’Italia una certa importanza sul piano politico almeno a livello continentale. L’unico problema di una certa importanza erano gli elevati interessi del debito pubblico mentre il problema inflazione era stato risolto con il divorzio tra il ministero e la banca d’Italia.
Negli anni ’90 l’Italia si trovava in un bivio: restare come si era oppure trasformarsi in una potenza?
A livello di classe dirigente qualcuno aveva capito che la prima strada non era più percorribile e quindi non rimaneva che buttarsi nella seconda. Tuttavia negli ulti 20 anni nessun governo è stato capace di sfruttare la situazione favorevole che si era creata per fare le scelte giuste. Sistematicamente l’Italia ha scelto sempre male compiendo in termini di politica internazionale un vero e proprio suicidio. Alcune mosse potenzialmente buone sono state compiute ma è mancata la capacità di sfruttarle adeguatamente.
L’Italia ha completamente mancato il passaggio dalla “old economy” alla “new economy”: già nel 1990 qualsiasi analista serio poteva prevedere l’ascesa di quelli che oggi sono i paesi emergenti. Tale ascesa avrebbe determinato la necessità di una ristrutturazione dell’economia: l’Italia non avrebbe potuto più contare sulla possibilità di produrre prodotti dal basso valore aggiunto a prezzi molto bassi ma avrebbe dovuto puntare sulla ricerca e tecnologia al fine di produrre prodotti dall’alto valore aggiunto.
La scarsa lungimiranza della classe dirigente italiana non ha portato il paese verso questa direzione se non a tratti ed ha preferito cullarsi sull’idea che nulla sarebbe cambiato e che il livello di benessere conquistato fosse definitivo.
L’entrata nell’euro poteva essere un’occasione per prendere due piccioni con una fava: garantirsi un posto tra le potenze europee che contano e ridurre notevolmente il debito pubblico approfittando dei tassi di interesse molto bassi. Nessuno dei due obiettivi è stato centrato: l’Italia ha snobbato le istituzioni europee usandole come “discarica” per i politici trombati lasciando che francesi, tedeschi, inglesi e persino polacchi si impadronissero dei posti migliori. L’adozione di una moneta forte avrebbe dovuto essere uno stimolo per riconvertire l’economia e per perseguire una maggiore disciplina di bilancio quando ancora era possibile farlo. Questo avrebbe garantito una maggiore competitività della nostra economia e la possibilità di aumentare, anche di molto, la spesa pubblica in tempi di crisi.
Un altro grave errore è stato quello di sottovalutare l’allargamento della Unione Europea ad est ignorando quasi completamente i nuovi paesi. In particolare l’Italia avrebbe dovuto rivolgere la propria attenzione verso i Balcani come suo sbocco naturale. In quella zona l’Italia oggi è stata superata dalla Germania e questo a causa dello scarsissimo supporto che lo stato ha dato alle imprese italiane.
Stesso discorso vale per il resto dell’est Europa: l’Italia si è disinteressata di questi paesi che hanno preferito stabilire contatti con la Gran Bretagna, la Germania oppure ricostruire buoni rapporti con la Russia. 
La conseguenzxa è stata l'incapacità italiana di difendere i propri interessi a livello continentale e la palese dimostrazione è stato il caso della Libia e delle sanzioni alla Russia. 
Dal punto di vista militare l’Italia non ha saputo fare una riforma militare di cui aveva bisogno dopo la fine della Guerra Fredda. Come sottolineato a più riprese dal generale Mini, l’esercito italiano è rimasto legato a strategie e concetti tipici della Guerra Fredda senza sapersi ristrutturare dal punto di vista dell’organizzazione e della strategia. Ancora peggio, l’esercito è stato trattato come una specie di gigantesco ammortizzatore sociale.
Dal punto di vista culturale l’Italia è ostaggio di due grossi problemi irrisolti: la bassa scolarizzazione e l’alto livello di corruzione. La bassa scolarizzazione ha come conseguenza un basso livello di specializzazione, che ha a sua volta conseguenza importanti nel mondo del lavoro. L’Italia è un paese che non ha mai puntato sulla ricerca: già negli anni ’90 i migliori ricercatori italiani erano costretti ad emigrare perché non riuscivano a lavorare. Una dozzina di anni più tardi lo stesso fenomeno si è esteso a tutta la manodopera qualificata. La mancanza di investimenti nell’ambito dell’istruzione e della ricerca ha determinato un calo del volume di lavoro per la manodopera specializzata e contemporaneamente una svalutazione dei salari dei lavoratori non qualificati per effetto della concorrenza proveniente dai paesi emergenti.
Un altro serio problema è la corruzione: il fenomeno era già noto ai tempi di Tangentopoli ma non fu fatto niente per porvi rimedio. L’Italia non ha mai varato una seria legge anti-corruzione e tanto meno è stato affrontato il discorso del conflitto di interessi. Questa ha determinato una crescita esponenziale della corruzione che oggi ci porta ad essere il paese più corrotto d’Europa superando perfino la Romania e la Bulgaria.
Il risultato di tutti questi errori si è tradotto in un progressivo e lento declino del paese che con la crisi economica è diventato una caduta verticale. La situazione del paese è diventata sempre più critica: povertà, mancanza di lavoro, corruzione e disagio sociale sono tornati ad essere problemi reali e pressanti. Negli ultimi cinque anni l’Italia è ridiventato un paese d’emigrazione.
L’Italia non è mai stata una vera potenza nemmeno nel suo periodo di maggiore splendore ma avrebbe potuto diventarlo facendo le mosse giuste. Invece si è diffusa la deleteria convinzione che il livello di benessere conquistato era definitivo e irrevocabile. Che non ci sarebbe stato bisogno di fare nulla se non vivacchiare. Così l’Italia da potenza emergente si è trasformata in un gigante dai piedi d’argilla che proprio in occasione della recente crisi economica ha dimostrato tutta la sua debolezza.
Oggi più che mai serve in piano di rilancio del paese perché il ritardo accumulato nei confronti delle principale potenze europee sta davvero cominciando ad essere molto. 

D.Deotto

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