Verso la fine degli anni ’80 l’Italia era un paese prospero.
Seppur non fosse ancora arrivata al livello delle principali potenze europee,
essa godeva di un livello di sviluppo economico molto buono che poteva essere
utilizzato come base per emergere come potenza. Va infatti ricordato ai lettori
che uno stato è considerato una grande potenza nel momento in cui ha raggiunto
un certo grado di sviluppo in tutti i settori rilevanti (politico, economico,
militare e culturale). Lo sviluppo economico degli anni 80 e l’adesione alla
Nato e Cee avevano garantito all’Italia una certa importanza sul piano politico
almeno a livello continentale. L’unico problema di una certa importanza erano
gli elevati interessi del debito pubblico mentre il problema inflazione era stato
risolto con il divorzio tra il ministero e la banca d’Italia.
Negli anni ’90 l’Italia si trovava in un bivio: restare come
si era oppure trasformarsi in una potenza?
A livello di classe dirigente qualcuno aveva capito che la
prima strada non era più percorribile e quindi non rimaneva che buttarsi nella
seconda. Tuttavia negli ulti 20 anni nessun governo è stato capace di sfruttare
la situazione favorevole che si era creata per fare le scelte giuste.
Sistematicamente l’Italia ha scelto sempre male compiendo in termini di
politica internazionale un vero e proprio suicidio. Alcune mosse potenzialmente
buone sono state compiute ma è mancata la capacità di sfruttarle adeguatamente.
L’Italia ha completamente mancato il passaggio dalla “old
economy” alla “new economy”: già nel 1990 qualsiasi analista serio poteva
prevedere l’ascesa di quelli che oggi sono i paesi emergenti. Tale ascesa
avrebbe determinato la necessità di una ristrutturazione dell’economia:
l’Italia non avrebbe potuto più contare sulla possibilità di produrre prodotti
dal basso valore aggiunto a prezzi molto bassi ma avrebbe dovuto puntare sulla
ricerca e tecnologia al fine di produrre prodotti dall’alto valore aggiunto.
La scarsa lungimiranza della classe dirigente italiana non
ha portato il paese verso questa direzione se non a tratti ed ha preferito
cullarsi sull’idea che nulla sarebbe cambiato e che il livello di benessere
conquistato fosse definitivo.
L’entrata nell’euro poteva essere un’occasione per prendere
due piccioni con una fava: garantirsi un posto tra le potenze europee che
contano e ridurre notevolmente il debito pubblico approfittando dei tassi di
interesse molto bassi. Nessuno dei due obiettivi è stato centrato: l’Italia ha
snobbato le istituzioni europee usandole come “discarica” per i politici
trombati lasciando che francesi, tedeschi, inglesi e persino polacchi si
impadronissero dei posti migliori. L’adozione di una moneta forte avrebbe
dovuto essere uno stimolo per riconvertire l’economia e per perseguire una
maggiore disciplina di bilancio quando ancora era possibile farlo. Questo
avrebbe garantito una maggiore competitività della nostra economia e la
possibilità di aumentare, anche di molto, la spesa pubblica in tempi di crisi.
Un altro grave errore è stato quello di sottovalutare
l’allargamento della Unione Europea ad est ignorando quasi completamente i
nuovi paesi. In particolare l’Italia avrebbe dovuto rivolgere la propria
attenzione verso i Balcani come suo sbocco naturale. In quella zona l’Italia
oggi è stata superata dalla Germania e questo a causa dello scarsissimo
supporto che lo stato ha dato alle imprese italiane.
Stesso discorso vale per il resto dell’est Europa: l’Italia
si è disinteressata di questi paesi che hanno preferito stabilire contatti con
la Gran Bretagna, la Germania oppure ricostruire buoni rapporti con la Russia.
La conseguenzxa è stata l'incapacità italiana di difendere i propri interessi a livello continentale e la palese dimostrazione è stato il caso della Libia e delle sanzioni alla Russia.
Dal punto di vista militare l’Italia non ha saputo fare una
riforma militare di cui aveva bisogno dopo la fine della Guerra Fredda. Come
sottolineato a più riprese dal generale Mini, l’esercito italiano è rimasto
legato a strategie e concetti tipici della Guerra Fredda senza sapersi
ristrutturare dal punto di vista dell’organizzazione e della strategia. Ancora
peggio, l’esercito è stato trattato come una specie di gigantesco
ammortizzatore sociale.
Dal punto di vista culturale l’Italia è ostaggio di due
grossi problemi irrisolti: la bassa scolarizzazione e l’alto livello di
corruzione. La bassa scolarizzazione ha come conseguenza un basso livello di
specializzazione, che ha a sua volta conseguenza importanti nel mondo del
lavoro. L’Italia è un paese che non ha mai puntato sulla ricerca: già negli
anni ’90 i migliori ricercatori italiani erano costretti ad emigrare perché non
riuscivano a lavorare. Una dozzina di anni più tardi lo stesso fenomeno si è
esteso a tutta la manodopera qualificata. La mancanza di investimenti
nell’ambito dell’istruzione e della ricerca ha determinato un calo del volume
di lavoro per la manodopera specializzata e contemporaneamente una svalutazione
dei salari dei lavoratori non qualificati per effetto della concorrenza
proveniente dai paesi emergenti.
Un altro serio problema è la corruzione: il fenomeno era già
noto ai tempi di Tangentopoli ma non fu fatto niente per porvi rimedio.
L’Italia non ha mai varato una seria legge anti-corruzione e tanto meno è stato
affrontato il discorso del conflitto di interessi. Questa ha determinato una
crescita esponenziale della corruzione che oggi ci porta ad essere il paese più
corrotto d’Europa superando perfino la Romania e la Bulgaria.
Il risultato di tutti questi errori si è tradotto in un
progressivo e lento declino del paese che con la crisi economica è diventato
una caduta verticale. La situazione del paese è diventata sempre più critica:
povertà, mancanza di lavoro, corruzione e disagio sociale sono tornati ad
essere problemi reali e pressanti. Negli ultimi cinque anni l’Italia è
ridiventato un paese d’emigrazione.
L’Italia non è mai stata una vera potenza nemmeno nel suo
periodo di maggiore splendore ma avrebbe potuto diventarlo facendo le mosse
giuste. Invece si è diffusa la deleteria convinzione che il livello di
benessere conquistato era definitivo e irrevocabile. Che non ci sarebbe stato
bisogno di fare nulla se non vivacchiare. Così l’Italia da potenza emergente si
è trasformata in un gigante dai piedi d’argilla che proprio in occasione della
recente crisi economica ha dimostrato tutta la sua debolezza.
Oggi più che mai serve in piano di rilancio del paese perché
il ritardo accumulato nei confronti delle principale potenze europee sta
davvero cominciando ad essere molto.
D.Deotto
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