martedì 25 marzo 2014

REFERENDUM INDIPENDENZA VENETA: VINCONO I SI’





Evento passato un po’ in sordina è il referendum per l’indipendenza veneta online organizzato dai movimenti indipendentisti. Hanno votato quasi 2 milioni di aventi diritto e la stragrande maggioranza di essi si è detta favorevole.
Ovviamente questo referendum non ha valore legale e tale regione continua a far parte della Repubblica Italiana tuttavia è sbagliato sottovalutare i risultati di una iniziativa che, seppure con cifre diverse, vengono confermati anche da un sondaggio condotto da Demos.
Il concetto di in-dipendenza espresso dai veneti va distinto da quello di secessione di leghista memoria.
La protesta leghista, infatti, era almeno inizialmente una pesantissima critica nei confronti del concetto di Italia ed aveva anche una forte componente dispregiativa nei confronti della parte meridionale dello stivale. La proposta leghista fece emergere in tutta la sua drammaticità la “questione settentrionale” e si concretizzò nella tentata creazione di una entità politica, la Padania, non radicata nella storia.
L’attuale autonomismo veneto è invece una protesta nei confronti di uno stato ritenuto inefficiente ed incapace di affrontare i problemi posti dalla crisi economica. La protesta si concretizza nella richiesta di un ritorno ad un territorio con profonde radici storiche e ritenuto più vicino ai cittadini.
Ciò che infatti sembra maggioritario tra la popolazione è la richiesta di una non dipendenza da Roma e quindi di una maggiore autonomia di tipo federale. Da questo punto di vista possiamo sicuramente dire che la maggior parte dei veneti preferirebbe vivere in uno stato indipendente ma federato all’Italia ed alla UE.
Si tratta di una critica molto pesante nei confronti del modello centralista che in Italia ha sempre avuto la meglio da 150 anni a questa parte.
Durante il Risorgimento, infatti, i Savoia, forse ispirati dall’esempio francese, imposero la “piemontizzazione” dell’intera penisola con conseguenze economiche e sociali negative su tutta la penisola.
Sotto il fascismo il livello di centralismo aumentò trasformandosi in persecuzione aperta delle minoranze: le regioni del nostro paese caratterizzate dal multilinguismo sono state particolarmente danneggiate tanto che nacquero profonde ferite e divisioni.
Dopo la guerra la Repubblica Italiana mantenne il modello centralista optando per un decentramento amministrativo che però fu realizzato soltanto durante gli anni settanta e dopo molte proteste.
La riforma del titolo V è stata un grosso pasticcio ed una grande occasione persa per una svolta federale: è nata infatti una finta regionalizzazione, male studiata, con una ripartizione delle competenze fuori dalla realtà caratterizzata dalla mancanza di un adeguato decentramento fiscale.
Tutto ciò non ha fatto altro che privare le regioni delle risorse finanziarie indispensabili impedendo loro di applicare in maniera corretta il principio di sussidiarietà, generando così distanza tra cittadini ed istituzioni.
Il voto veneto è un chiaro campanello di allarme nei confronti di uno stato centralista, pachidermico, ipertrofico e costoso. I cittadini sono stanchi di istituzioni lontane ed inefficienti.
C’è una grande voglia di maggiore vicinanza tra istituzioni e cittadino ed esiste una diffusa volontà di uno stato più snello e rispettoso delle minoranze.
In un tempo in cui molti politici hanno ventilato l’abolizione delle regioni a statuto speciale, i veneti hanno dato un chiaro avviso che nella società civile si sogna il federalismo.
Il voto è anche il segnale di un diffuso malcontento tra i ceti medi, stanchi dell’alta pressione fiscale e del loro continuo impoverimento soprattutto in regioni come quelle del nord-est dove sono sempre stati il ceto trainante della società.
Proprio negli ultimi anni in Veneto migliai di piccole e medie imprese hanno chiuso i battenti e si contano molti casi di imprenditori che si sono suicidati.
La situazione occupazionale non è buona e la disoccupazione giovanile è in continua crescita.
Un vero e proprio dramma per una regione che fino a poco prima della crisi vantava la piena occupazione riuscendo a colloccare con successo sul mercato del lavoro quasi tutti i propri giovani. 
Sembra quindi che nessuno sia più disposto a sopportare una burocrazia esasperante, una pressione fiscale scandinava ma con servizi spesso scadenti.
Va quindi preso molto seriamente questo monito dei veneti perché, non solo è segnale di un diffuso malcontento nei confronti delle istituzioni, ma fa emergere anche una “questione veneta” regione che, assieme a tutto il nord-est, sta pagando salatissimo il conto della crisi e le politiche di austerity.
Non è infatti da escludere che nel futuro molte regioni tentino di emulare l'iniziativa veneta per manifestare il proprio malcontento nei confronti dello stato centrale.

D.Deotto. 

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