Evento passato un po’ in sordina è il referendum per
l’indipendenza veneta online organizzato dai movimenti indipendentisti. Hanno
votato quasi 2 milioni di aventi diritto e la stragrande maggioranza di essi si
è detta favorevole.
Ovviamente questo referendum non ha valore legale e tale
regione continua a far parte della Repubblica Italiana tuttavia è sbagliato
sottovalutare i risultati di una iniziativa che, seppure con cifre diverse,
vengono confermati anche da un sondaggio condotto da Demos.
Il concetto di in-dipendenza espresso dai veneti va distinto
da quello di secessione di leghista memoria.
La protesta leghista, infatti, era almeno inizialmente una
pesantissima critica nei confronti del concetto di Italia ed aveva anche una
forte componente dispregiativa nei confronti della parte meridionale dello
stivale. La proposta leghista fece emergere in tutta la sua drammaticità la
“questione settentrionale” e si concretizzò nella tentata creazione di una
entità politica, la Padania, non radicata nella storia.
L’attuale autonomismo veneto è invece una protesta nei
confronti di uno stato ritenuto inefficiente ed incapace di affrontare i
problemi posti dalla crisi economica. La protesta si concretizza nella
richiesta di un ritorno ad un territorio con profonde radici storiche e
ritenuto più vicino ai cittadini.
Ciò che infatti sembra maggioritario tra la popolazione è la
richiesta di una non dipendenza da Roma e quindi di una maggiore autonomia di
tipo federale. Da questo punto di vista possiamo sicuramente dire che la
maggior parte dei veneti preferirebbe vivere in uno stato indipendente ma
federato all’Italia ed alla UE.
Si tratta di una critica molto pesante nei confronti del
modello centralista che in Italia ha sempre avuto la meglio da 150 anni a
questa parte.
Durante il Risorgimento, infatti, i Savoia, forse ispirati
dall’esempio francese, imposero la “piemontizzazione” dell’intera penisola con
conseguenze economiche e sociali negative su tutta la penisola.
Sotto il fascismo il livello di centralismo aumentò
trasformandosi in persecuzione aperta delle minoranze: le regioni del nostro
paese caratterizzate dal multilinguismo sono state particolarmente danneggiate
tanto che nacquero profonde ferite e divisioni.
Dopo la guerra la Repubblica Italiana mantenne il modello
centralista optando per un decentramento amministrativo che però fu realizzato
soltanto durante gli anni settanta e dopo molte proteste.
La riforma del titolo V è stata un grosso pasticcio ed una
grande occasione persa per una svolta federale: è nata infatti una finta
regionalizzazione, male studiata, con una ripartizione delle competenze fuori
dalla realtà caratterizzata dalla mancanza di un adeguato decentramento
fiscale.
Tutto ciò non ha fatto altro che privare le regioni delle
risorse finanziarie indispensabili impedendo loro di applicare in maniera
corretta il principio di sussidiarietà, generando così distanza tra cittadini
ed istituzioni.
Il voto veneto è un chiaro campanello di allarme nei
confronti di uno stato centralista, pachidermico, ipertrofico e costoso. I
cittadini sono stanchi di istituzioni lontane ed inefficienti.
C’è una grande voglia di maggiore vicinanza tra istituzioni
e cittadino ed esiste una diffusa volontà di uno stato più snello e rispettoso
delle minoranze.
In un tempo in cui molti politici hanno ventilato
l’abolizione delle regioni a statuto speciale, i veneti hanno dato un chiaro
avviso che nella società civile si sogna il federalismo.
Il voto è anche il segnale di un diffuso malcontento tra i
ceti medi, stanchi dell’alta pressione fiscale e del loro continuo
impoverimento soprattutto in regioni come quelle del nord-est dove sono sempre
stati il ceto trainante della società.
Proprio negli ultimi anni in Veneto migliai di piccole e medie imprese hanno chiuso i battenti e si contano molti casi di imprenditori che si sono suicidati.
La situazione occupazionale non è buona e la disoccupazione giovanile è in continua crescita.
Un vero e proprio dramma per una regione che fino a poco prima della crisi vantava la piena occupazione riuscendo a colloccare con successo sul mercato del lavoro quasi tutti i propri giovani.
Proprio negli ultimi anni in Veneto migliai di piccole e medie imprese hanno chiuso i battenti e si contano molti casi di imprenditori che si sono suicidati.
La situazione occupazionale non è buona e la disoccupazione giovanile è in continua crescita.
Un vero e proprio dramma per una regione che fino a poco prima della crisi vantava la piena occupazione riuscendo a colloccare con successo sul mercato del lavoro quasi tutti i propri giovani.
Sembra quindi che nessuno sia più disposto a sopportare una
burocrazia esasperante, una pressione fiscale scandinava ma con servizi spesso
scadenti.
Va quindi preso molto seriamente questo monito dei veneti
perché, non solo è segnale di un diffuso malcontento nei confronti delle
istituzioni, ma fa emergere anche una “questione veneta” regione che, assieme a
tutto il nord-est, sta pagando salatissimo il conto della crisi e le politiche
di austerity.
Non è infatti da escludere che nel futuro molte regioni tentino di emulare l'iniziativa veneta per manifestare il proprio malcontento nei confronti dello stato centrale.
D.Deotto.
Non è infatti da escludere che nel futuro molte regioni tentino di emulare l'iniziativa veneta per manifestare il proprio malcontento nei confronti dello stato centrale.
D.Deotto.
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