giovedì 13 marzo 2014

UCRAINA: PARTITA A SCACCHI O SOLITARIO?




La fuga del presidente ucraino Yanukovich sta innescando un effetto domino i cui effetti sembrano sfuggire sia alla nuova classe dirigente del paese, sia a Yanukovich e alla galassia filorussa a Oriente del paese, sia ai paesi esteri coinvolti (e molti paesi sono confusi a monte sull'essere coinvolti o meno, a cominciare dagli Stati Uniti, sostanzialmente tirati per la collottola dai paesi europei desiderosi di appartarli, ancora una volta, la politica estera a due passi da casa propria).
Il solo uomo ad avere le idee chiare sembra essere Putin con la sua decisione di intervenire militarmente in Crimea. Tuttavia, si tratta di una decisione presa sul momento per avere la sicurezza di conservare il mantenimento di un'area che, anche dopo la dissoluzione dell'URSS, è vitale per la Russia. Per la Russia la Crimea era già territorio proprio, e Putin probabilmente avrebbe preferito evitare di sottoporre la penisola alla strategia per l'acquisizione di nuovi territori che la Russia osserva da ormai vent'anni. Così come in Abkazia, Ossezia del Sud e Transnistria, la Crimea con ogni probabilità si appresta ad essere la nuova perla della collana di staterelli formalmente indipendenti tenuti su dal patrocinio russo.
Putin, però, non puntava certo a una regione che era da tempo già nelle mani russe, ma si aspetta di ottenere risultati dall'intera Ucraina, divisa in tre parti: l'occidente popolato da ucraini che parlano la lingua natia, regione profondamente russofoba, il ricco oriente minerario popolato da russi e una larga fascia centrale, con Kiev al culmine, popolato perlopiù da ucraini russofoni. 
Dal punto di vista russo, e con l'appoggio di una buona parte degli ucraini russofoni, queste divisioni sono in realtà inezie di fronte a una, più grande, identità russa. I russi stessi sono nati come popolo a Kiev, un millennio fa. In difesa e a sostegno dei cosacchi della Zaporovia (nonostante il rapporto conflittuale e contraddittorio che legasse quei guerrieri nomadi e i cugini del Nord) la Russia, rinata da Mosca dopo le invasioni mongole, ha proseguito la sua marcia di conquista contro polacchi, turchi e tatari fino al Mar Nero. Per allargare i confini dell'Impero, zarista prima e sovietico poi, a Occidente, russi e ucraini hanno combattuto le due guerre mondiali, portando l'Ucraina a toccare, a Occidente, i monti Carpazi. Attualmente, non sono solo i russi ad essere presenti in gran numero in Ucraina, ma gli ucraini stessi, a loro volta, costituiscono la popolazione slava più numerosa dopo quella russa, e comunità ucraine sono sparse in qualsiasi città russa, in numero più o meno grande.
Tuttavia non è certo per nostalgie del passato che la Russia ha così tanto interesse nei confronti dell'Ucraina e, soprattutto, degli ucraini. Contenendo al proprio interno comunità etniche molto più distanti e conflittuali rispetto all'etnia russa, il paese più grande del mondo non può permettersi di disconoscere gli ucraini all'interno della comunità nazionale. Inoltre, la Russia, che solo da pochi anni conosce una crescita demografica minima dopo più di un decennio di recessione demografica, ha bisogno di quei quarantaquattro milioni di ucraini per restare, in futuro, nell'alveo delle grandi potenze. Putin sa bene che la politica energetica e il suo personalismo non possono coprire in eterno  i problemi del paese in uno scenario internazionale sempre più sfaccettato e competitivo, e con meno di duecento milioni di abitanti di fronte a un mondo che solo in questi anni sembra cominciare a crescere di meno, è fondamentale, per restare tra i grandi, che la Russia recuperi le “menti e i cuori” degli Ucraini, anche dei contadini ai piedi dei Carpazi per la quale la  Russia equivale a “Hodolomor” (il genocidio ucraino, milioni di morti per fame, o per mezzo della recessione sovietica, a causa delle fallimenti politiche di pianificazione economica ad opera dell'Unione Sovietica tra la fine degli anni venti e l'inizio degli anni trenta del ventesimo secolo).
I russi, dunque, sanno bene cosa vogliono ma non sanno come (riesumare un nuovo CSI, perseguire l'unione doganale euroasiatica o, se gli scenari futuri internazionali lo consentiranno, allargare direttamente i propri confini), e soprattutto non sanno ancora, dopo i fallimenti di Yanukovich, su quale uomo puntare. Il solo vantaggio di cui attualmente disposto è che, di fronte alla scacchiera, sembra siano i soli ad essersi seduti. Gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di interessarsi in uno scenario, quello europeo, che non li riguarda più di tanto, non gli interessa e che, per tale ragione, stanno cercando di abbandonare il prima possibile per ottimizzare le proprie risorse verso il Pacifico. L'Ucraina in particolare non ha niente da offrire se non guai: i gasdotti di certo non raggiungo New York bensì il vecchio continente.
In generale, Ucraina e Crimea non sembrano interessare qualcuno tra i grandi, se non l'Europa. Tuttavia chiedere all'Europa attuale cosa ne pensa e cosa vuole fare equivale a chiedere al vecchio Impero Romano cosa intende fare verso il Regno del Bosforo (antico regno ellenistico in Crimea subordinato a Roma). L'Europa, infatti, sullo scacchiere internazionale sta dimostrando di essere un'entità completamente inesistente, anche di fronte alle porte di quella che dovrebbe essere casa propria. Una potenza reale non potrebbe accettare un grado di instabilità come quello presente nella regione che dai Balcani arriva al Caucaso, soprattutto quando quest'instabilità è funzionale a una potenza rivale. Se la Crimea si staccherà dall'Ucraina, si aggiungerebbe a una lista sempre più grande (la guerra in Georgia e la difesa degli “stati” dell'Abkazia e dell'Ossezia del Sud risale a poco più di cinque anni fa) di entità politiche “limbo” dalla statualità dubbia, utili ai russi per non dover far fronte ai contraccolpi internazionali che nascerebbero da un'annessione diretta.
Delle sorti di Kiev al momento le uniche nazioni europee interessate sembrano essere Germania, Polonia e persino Lituania e Svezia (dovuto a vecchi legami storici). Interesse non significa tuttavia necessariamente azione, e aldilà di alcune manovre di confine dell'esercito polacco, nessuna tra le nazioni europee interessate all'Ucraina ha la forza, o la volontà, sufficiente, per mettere a punto una propria strategia in funzione concorrente a quella russa. Perché i gasdotti non raggiungeranno New York, ma Berlino sì, e il “motore d'Europa”, senza carburante non può certo funzionare.

M. Annunziata. 

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