La fuga del presidente ucraino
Yanukovich sta innescando un effetto domino i cui effetti sembrano sfuggire sia
alla nuova classe dirigente del paese, sia a Yanukovich e alla galassia
filorussa a Oriente del paese, sia ai paesi esteri coinvolti (e molti paesi
sono confusi a monte sull'essere coinvolti o meno, a cominciare dagli Stati
Uniti, sostanzialmente tirati per la collottola dai paesi europei desiderosi di
appartarli, ancora una volta, la politica estera a due passi da casa propria).
Il solo uomo ad avere le idee
chiare sembra essere Putin con la sua decisione di intervenire militarmente in
Crimea. Tuttavia, si tratta di una decisione presa sul momento per avere la
sicurezza di conservare il mantenimento di un'area che, anche dopo la
dissoluzione dell'URSS, è vitale per la Russia. Per la Russia la Crimea era già
territorio proprio, e Putin probabilmente avrebbe preferito evitare di
sottoporre la penisola alla strategia per l'acquisizione di nuovi territori che
la Russia osserva da ormai vent'anni. Così come in Abkazia, Ossezia del Sud e
Transnistria, la Crimea con ogni probabilità si appresta ad essere la nuova
perla della collana di staterelli formalmente indipendenti tenuti su dal
patrocinio russo.
Putin, però, non puntava certo a
una regione che era da tempo già nelle mani russe, ma si aspetta di ottenere
risultati dall'intera Ucraina, divisa in tre parti: l'occidente popolato da
ucraini che parlano la lingua natia, regione profondamente russofoba, il ricco
oriente minerario popolato da russi e una larga fascia centrale, con Kiev al
culmine, popolato perlopiù da ucraini russofoni.
Dal punto di vista russo, e con
l'appoggio di una buona parte degli ucraini russofoni, queste divisioni sono in
realtà inezie di fronte a una, più grande, identità russa. I russi stessi sono
nati come popolo a Kiev, un millennio fa. In difesa e a sostegno dei cosacchi
della Zaporovia (nonostante il rapporto conflittuale e contraddittorio che
legasse quei guerrieri nomadi e i cugini del Nord) la Russia, rinata da Mosca
dopo le invasioni mongole, ha proseguito la sua marcia di conquista contro
polacchi, turchi e tatari fino al Mar Nero. Per allargare i confini
dell'Impero, zarista prima e sovietico poi, a Occidente, russi e ucraini hanno
combattuto le due guerre mondiali, portando l'Ucraina a toccare, a Occidente, i
monti Carpazi. Attualmente, non sono solo i russi ad essere presenti in gran
numero in Ucraina, ma gli ucraini stessi, a loro volta, costituiscono la
popolazione slava più numerosa dopo quella russa, e comunità ucraine sono
sparse in qualsiasi città russa, in numero più o meno grande.
Tuttavia non è certo per
nostalgie del passato che la Russia ha così tanto interesse nei confronti
dell'Ucraina e, soprattutto, degli ucraini. Contenendo al proprio interno
comunità etniche molto più distanti e conflittuali rispetto all'etnia russa, il
paese più grande del mondo non può permettersi di disconoscere gli ucraini
all'interno della comunità nazionale. Inoltre, la Russia, che solo da pochi
anni conosce una crescita demografica minima dopo più di un decennio di
recessione demografica, ha bisogno di quei quarantaquattro milioni di ucraini
per restare, in futuro, nell'alveo delle grandi potenze. Putin sa bene che la
politica energetica e il suo personalismo non possono coprire in eterno i problemi del paese in uno scenario
internazionale sempre più sfaccettato e competitivo, e con meno di duecento
milioni di abitanti di fronte a un mondo che solo in questi anni sembra
cominciare a crescere di meno, è fondamentale, per restare tra i grandi, che la
Russia recuperi le “menti e i cuori” degli Ucraini, anche dei contadini ai
piedi dei Carpazi per la quale la Russia
equivale a “Hodolomor” (il genocidio ucraino, milioni di morti per fame, o per
mezzo della recessione sovietica, a causa delle fallimenti politiche di
pianificazione economica ad opera dell'Unione Sovietica tra la fine degli anni
venti e l'inizio degli anni trenta del ventesimo secolo).
I russi, dunque, sanno bene cosa
vogliono ma non sanno come (riesumare un nuovo CSI, perseguire l'unione
doganale euroasiatica o, se gli scenari futuri internazionali lo consentiranno,
allargare direttamente i propri confini), e soprattutto non sanno ancora, dopo
i fallimenti di Yanukovich, su quale uomo puntare. Il solo vantaggio di cui
attualmente disposto è che, di fronte alla scacchiera, sembra siano i soli ad
essersi seduti. Gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di interessarsi in
uno scenario, quello europeo, che non li riguarda più di tanto, non gli
interessa e che, per tale ragione, stanno cercando di abbandonare il prima
possibile per ottimizzare le proprie risorse verso il Pacifico. L'Ucraina in
particolare non ha niente da offrire se non guai: i gasdotti di certo non
raggiungo New York bensì il vecchio continente.
In generale, Ucraina e Crimea non
sembrano interessare qualcuno tra i grandi, se non l'Europa. Tuttavia chiedere
all'Europa attuale cosa ne pensa e cosa vuole fare equivale a chiedere al
vecchio Impero Romano cosa intende fare verso il Regno del Bosforo (antico
regno ellenistico in Crimea subordinato a Roma). L'Europa, infatti, sullo
scacchiere internazionale sta dimostrando di essere un'entità completamente
inesistente, anche di fronte alle porte di quella che dovrebbe essere casa
propria. Una potenza reale non potrebbe accettare un grado di instabilità come
quello presente nella regione che dai Balcani arriva al Caucaso, soprattutto
quando quest'instabilità è funzionale a una potenza rivale. Se la Crimea si
staccherà dall'Ucraina, si aggiungerebbe a una lista sempre più grande (la
guerra in Georgia e la difesa degli “stati” dell'Abkazia e dell'Ossezia del Sud
risale a poco più di cinque anni fa) di entità politiche “limbo” dalla
statualità dubbia, utili ai russi per non dover far fronte ai contraccolpi
internazionali che nascerebbero da un'annessione diretta.
Delle sorti di Kiev al momento le
uniche nazioni europee interessate sembrano essere Germania, Polonia e persino Lituania
e Svezia (dovuto a vecchi legami storici). Interesse non significa tuttavia
necessariamente azione, e aldilà di alcune manovre di confine dell'esercito
polacco, nessuna tra le nazioni europee interessate all'Ucraina ha la forza, o
la volontà, sufficiente, per mettere a punto una propria strategia in funzione
concorrente a quella russa. Perché i gasdotti non raggiungeranno New York, ma
Berlino sì, e il “motore d'Europa”, senza carburante non può certo funzionare.
M. Annunziata.
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