lunedì 10 novembre 2014

RIFLESSIONI SUL JOB ACT





In Italia continua la discussione sul job act con la CGIL sul piede di guerra ed il governo che tenta di andare avanti spedito. Inutile ripetere per l’ennesima volta i contenuti del decreto quindi mi limiterò a fare un paio di considerazioni.
Per prima cosa il job act non riduce il numero delle tipologie dei contratti di lavoro disponibile quindi c’è da chiedersi per quale motivo il nuovo contratto a tutele progressive dovrebbe essere preferito ad altri tipi già usati. Vero tallone d’achille del mercato del lavoro italiano è infatti i troppi tipi di contratti di lavoro negativi che finiscono per creare precarietà e salari bassi. Questa riforma non risolve questo problema limitandosi ad aggiungere una nuova tipologia di contratto.
Seconda considerazione riguarda l’assenza di una qualsiasi norma riguardante il salario minimo: il contratto a tutele progressive può funzionare solo se si tutela il dipendente con una limitazione delle tipologie di contratto e l’imposizione di un salario minimo. In un paese in cui le retribuzioni sono in caduta libera e sempre più persone vivono nella povertà, è estremamente urgente una legislazione simile a quella approvata in Germania pochi mesi fa per evitare ulteriori tensioni sociali.
Ulteriore considerazione, non si è usciti dalla logica perversa secondo la quale sono i decreti legge a creare lavoro. Non è affatto così. Sin dalla fine degli anni ’90 l’Italia soffrendo di una progressiva quanto inesorabile diminuzione dell’offerta di lavoro. Assolutamente nulla è stato fatto negli ultimi 20 anni per fermare o limitare questo fenomeno. Bisognerebbe pensare di meno ai decreti legge e di più a come creare lavoro.
Oggi il governo propone di abolire l’articolo 18 ma una tale mossa non creerebbe nessun posto di lavoro in più. Forse avrebbe potuto essere utile dieci anni fa’ ma oggi come oggi è superflua.
L’Italia non ha bisogno di nuove leggi ma di investimenti per creare posti di lavoro. Il paese è bloccato da una burocrazia assurda e da un volume di lavoro insufficiente.
Altro grosso problema riguarda la scarsa qualità dei posti di lavoro creati. La maggior parte dei posti di lavoro riguarda professioni a basso livello di qualifica. Conseguenza l’accentuazione di un fenomeno già diffuso negli anni novanta ovvero chi è “troppo qualificato” è costretto ad emigrare. Ma se questa realtà un tempo riguardava soltanto la ricerca, oggi chiunque sia laureato è costretto a lasciare il paese per mancanza di opportunità. Questo viene confermato dalle statistiche vedono l’Italia tra i paesi che meno di tutti in occidente producono posti di lavoro ad alta qualifica dietro persino ai paesi dell’est Europa con conseguente calo di competitività.
Ci sarebbe molto da fare in Italia da fare per risolvere l’emergenza lavoro ma manca la volontà politica per farlo: già porsi l’obiettivo di riqualificare il territorio attraverso il servizio civile sarebbe un potente volano che potrebbe rimettere al lavoro un esercito di disoccupati. Si preferisce invece alimentare perversi circuiti che generano solo corruzione. Allo stesso modo il mondo della ricerca, fondamentale in un paese del primo mondo, è ostaggio del clientelismo ed incapace di comunicare con le imprese.
L’emergenza lavoro è dunque il principale problema italiano ma fino a quando non ci si renderà conto che il vero problema è lo scarso volume di lavoro, la mancanza di opportunità per i giovani ed il tasso di corruzione e clientelismo sempre maggiore, non ci sarà mai un reale cambiamento.
Oggi poca gente lavora e quei pochi che lavorano sono precari e spesso malpagati. Qualsiasi under 40 che non possa contare su una famiglia solida alle spalle è sistematicamente condannato a finire su una strada e lo stesso discorso vale per chi dai 40 anni in su perde il lavoro. La povertà e l’emergenza abitativa sono tornate ad essere una realtà nel nostro paese. Il job act non tocca minimamente questo tipo di problemi. Il governo parla di necessità di un new deal italiano ma fino ad ora nessuno pare nessuno voglia battere questa strada. Al contrario sembra si voglia attendere senza far niente nella speranza che tutto si sistemi da solo.
Dare un futuro a milioni di disoccupati e garantire stabilità alle famiglie precarie dovrebbe essere il primo obiettivo di ogni governo ma pare che in Italia si faccia ancora fatica a capire lo stato di emergenza in cui viviamo. 

D.Deotto

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