Nella più consolidata tradizione teatrale, l'inizio della
seconda parte di una pièce ha il via in un posto al di fuori dell'ambiente
principale. La tragedia ucraina non fa eccezione ed è in Polonia, in occasione
della visita del presidente degli Stati Uniti Obama, che ha inizio il nuovo
atto: il ritorno dell'egemone, probabilmente a causa dell'aumento delle voci
che lo mettono in discussione, se non altro nelle intenzioni. Obama ha
dichiarato che gli Stati Uniti, previa approvazione del Congresso, investiranno
un miliardo di dollari per la difesa degli alleati situati in Europa Orientale.
Nessun riferimento particolare verso chi gli stati della regione desiderano
difendersi e per quale ragione tale desiderio si fatto più intenso.
Obama d'altra parte è in buona compagnia. Nell'universo
apparentemente distratto dei media internazionali la crisi che investe il paese
da ormai diversi mesi sembrava avviarsi vero le sezioni d'archivio. Le elezioni
del 25 Maggio, che avrebbero dovuto catturare l'attenzione del mondo in quanto
possibile atto di svolta dei fatti esplosi con la protesta “euromaidan”, si
sono svolte in sordina, con la prevedibile vittoria di Petro Poroshenko,
oligarca noto in Ucraina come “Re del cioccolato”, il cui trionfo (54% circa
delle preferenze) sembra aver condannato a un amaro oblio la pasionaria
Tymoshenko, relegata a un 12% dei voti.
Come un novello San Paolo sulla via di Kiev, Poroshenko ha
scoperto la sua natura europeista abbracciando, negli ultimi mesi, la causa dei
dissidenti al regime di Yanukovich. Appena giunto allo scranno presidenziale,
Poroshenko ha promesso di risolvere la questione dei filo russi insorti
nell'Est del paese con l'intenzione di creare un secondo caso “Crimea”.
A proposito di Crimea. Chi ha letto il precedente articolo
sull'Ucraina presente sul blog ricorderà lo scenario da me preventivato
riguardo una Crimea formalmente indipendente ma in mano i russi, sulla
falsariga dell'Ossezia del Sud o della Transnistria (e se non avete idea di dove
si trovino e se realmente esistono è un piccolo segno che il governo russo ha
fatto un buon lavoro).
I fatti mi hanno dato smentita: la Repubblica di Crimea è
durata giusta il tempo di indire il referendum di annessione alla Russia.
Perché allora solo pochi anni prima, nel 2008, la Russia, dopo aver sconfitto
la Georgia, ha garantito la “sovranità” delle due piccole repubbliche
secessioniste di Abkazia e Ossezia del Sud e, sei anni più tardi, la Crimea
viene annessa praticamente senza colpo ferire da parte della Russia?
Una probabile risposta ce la potrebbe dare lo scenario
etnico. La Crimea è una regione a maggioranza russa, mentre Abkazia e Ossezia
del Sud ospitano etnie caucasiche distinte sia dai russi, sia dai georgiani.
Tuttavia l'attuale Federazione Russa ospita un crogiolo di etnie assai
variegato, in linea con la tradizione imperiale prima e sovietica poi. In
particolar modo, si noti che il nome di “Ossezia del Sud” non fa riferimento a
un'entità statale “osseta” indipendente, ma alla regione autonoma inserita
nella Federazione Russa stessa. Non costituirebbe perciò un problema per la
Russia annettere l'altra porzione di territorio osseto e anzi, sarebbe anche
consigliabile per evitare potenziali rivendicazioni etniche.
Appurato che non sembra essere l'etnia il fattore chiave
agli sconvolgimenti crimeani, la risposta al dilemma ce la fornisce
indirettamente lo stesso Obama, che nel suo breve accenno alla Russia,
alludendo proprio alla Crimea, afferma che è “dai tempi della seconda guerra
mondiale che una nazione europea non annette pare del territorio di un'altra
nazione”. Le parole del presidente americano sono una neanche tanto implicita
ammissione del termine dell'idea di un ambiente internazionale
“cristallizzato”, i cui confini assumono una dimensione eterna e sacrale
(ironico nell'epoca della globalizzazione), e dove eventuali mutamenti negli
equilibri internazionali vengono decisi dall'alto delle due superpotenze
impegnate nel conflitto freddo prima, e dall'egemone americano poi, sulla base
di più o meno credibili rivendicazioni “dal basso” da parte di un popolo che
dichiara la propria volontà a staccarsi dallo stato. A finire, perciò, è
quell'idea di “fine della Storia”, teorizzata dal celebre politologo Fukuyama,
dove modifiche e sconvolgimenti nell'ambiente internazionale sarebbero state
sempre più un eccezione, scosse d'assestamento precursori di un'epoca dove ogni
conflitto e mutamento sarebbe sparito grazie al trionfo del progresso e della
democrazia.
Il continente europeo sembrava essere destinato ad essere
l'avanguardia di questo percorso, eppure la Russia, pur nel periodo di crisi
seguito al crollo dell'Unione Sovietica, sembrò esser riuscita a comprendere,
nel corso dell'ultimo decennio, che senza la “pax” garantita dalla forza
militare delle superpotenze (nonché dell'unica superpotenza, gli Stati Uniti,
dopo la Guerra Fredda) come deterrente a qualsivoglia progetto d'annessione ed
espansione tale processo era destinato a svanire come polvere nel deserto.
Negli ultimi due decenni anni Mosca ha costantemente annusato il terreno,
porgendo la mano sempre più avanti e analizzando fino a quando poteva muoversi
senza urtare troppo il resto della comunità internazionale. Del resto,avete per
caso mai visto grandi proteste in Occidente a sostegno della Georgia o della
Moldova?
Con l'annessione della Crimea, la Russia ha mostrato che non
ha più bisogno di creare una piccola nazione fantoccio ai suoi confini,
mettendo così la parola fine al il tabù sulla sacralità dei confini nazionali
di fronte alle altre nazioni (ribadito da Obama nel corso della conferenza con
un tono che ha più del rimpianto che della minaccia).
Il nuovo presidente
ucraino Poroshenko sembra essere consapevole di ciò, ed è intenzionato a
non replicare la passività dimostrata dal governo provvisorio ucraino davanti
ai fatti avvenuti in Crimea. A un giorno dalla sua elezione, Poroshenko ha
lanciato una massiccia offensiva contro i separatisti filo russi dell'Est
culminata in una sanguinosa battaglia all'aeroporto di Donetsk.
Attualmente la situazione, sembra volgersi verso timidi
tentativi di dialogo tra le parti in lotta. Un fulmineo successo
dell'europeista Poroshenko? Forse. Dovuto alla speranza data dall'Europa?
Naturalmente no. I separatisti dell'est del paese hanno espresso la loro
volontà nel porre fine ai conflitti a patto che sia proprio la Russia a fare da
arbitro tra loro e il governo centrale. A sua volta la Russia si è detta
disposta a dialogare se il nuovo governo ucraino interrompe le operazioni
militari ai danni dei separatisti filo russi. L'apparente successo di
Poroshenko sta dunque, dopo la teatrale operazione militare nell'est a seguito
della sua elezione (d'altra parte aveva promesso di “riportare l'unita
nazionale entro le prossime dodici ore”), nel tentare un approccio più cauto e
dimesso.
Obama ha quindi l'assoluta necessità d'impedire che la
Russia non subisca il contraccolpo d'immagine e politico causato
dall'annessione alla Crimea verso l'Ucraina stessa. Passando per pacieri nelle
regioni dell'est ucraino non solo avrebbero la possibilità di ripulire la
propria immagine da invasori a salvatori della patria ma, nei fatti, aprirebbe
a Mosca la possibilità di non dover più rinunciare a una parte, se non
all'intera Ucraina, nella sua zona d'influenza come prezzo per la Crimea.
Ecco quindi la promessa pioggia di dollari per investimenti
militari nell'Est Europeo. Basteranno a ridare verve al nuovo presidente
ucraino e a spegnere il fuoco espansionista russa o si impiglieranno nella rete
tessuta da Mosca sopra il cadavere dell'utopica “fine della storia”?
M.Annunziata
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