mercoledì 4 giugno 2014

UCRAINA ATTO SECONDO




Nella più consolidata tradizione teatrale, l'inizio della seconda parte di una pièce ha il via in un posto al di fuori dell'ambiente principale. La tragedia ucraina non fa eccezione ed è in Polonia, in occasione della visita del presidente degli Stati Uniti Obama, che ha inizio il nuovo atto: il ritorno dell'egemone, probabilmente a causa dell'aumento delle voci che lo mettono in discussione, se non altro nelle intenzioni. Obama ha dichiarato che gli Stati Uniti, previa approvazione del Congresso, investiranno un miliardo di dollari per la difesa degli alleati situati in Europa Orientale. Nessun riferimento particolare verso chi gli stati della regione desiderano difendersi e per quale ragione tale desiderio si fatto più intenso.
Obama d'altra parte è in buona compagnia. Nell'universo apparentemente distratto dei media internazionali la crisi che investe il paese da ormai diversi mesi sembrava avviarsi vero le sezioni d'archivio. Le elezioni del 25 Maggio, che avrebbero dovuto catturare l'attenzione del mondo in quanto possibile atto di svolta dei fatti esplosi con la protesta “euromaidan”, si sono svolte in sordina, con la prevedibile vittoria di Petro Poroshenko, oligarca noto in Ucraina come “Re del cioccolato”, il cui trionfo (54% circa delle preferenze) sembra aver condannato a un amaro oblio la pasionaria Tymoshenko, relegata a un 12% dei voti.
Come un novello San Paolo sulla via di Kiev, Poroshenko ha scoperto la sua natura europeista abbracciando, negli ultimi mesi, la causa dei dissidenti al regime di Yanukovich. Appena giunto allo scranno presidenziale, Poroshenko ha promesso di risolvere la questione dei filo russi insorti nell'Est del paese con l'intenzione di creare un secondo caso “Crimea”.
A proposito di Crimea. Chi ha letto il precedente articolo sull'Ucraina presente sul blog ricorderà lo scenario da me preventivato riguardo una Crimea formalmente indipendente ma in mano i russi, sulla falsariga dell'Ossezia del Sud o della Transnistria (e se non avete idea di dove si trovino e se realmente esistono è un piccolo segno che il governo russo ha fatto un buon lavoro).
I fatti mi hanno dato smentita: la Repubblica di Crimea è durata giusta il tempo di indire il referendum di annessione alla Russia. Perché allora solo pochi anni prima, nel 2008, la Russia, dopo aver sconfitto la Georgia, ha garantito la “sovranità” delle due piccole repubbliche secessioniste di Abkazia e Ossezia del Sud e, sei anni più tardi, la Crimea viene annessa praticamente senza colpo ferire da parte della Russia?
Una probabile risposta ce la potrebbe dare lo scenario etnico. La Crimea è una regione a maggioranza russa, mentre Abkazia e Ossezia del Sud ospitano etnie caucasiche distinte sia dai russi, sia dai georgiani. Tuttavia l'attuale Federazione Russa ospita un crogiolo di etnie assai variegato, in linea con la tradizione imperiale prima e sovietica poi. In particolar modo, si noti che il nome di “Ossezia del Sud” non fa riferimento a un'entità statale “osseta” indipendente, ma alla regione autonoma inserita nella Federazione Russa stessa. Non costituirebbe perciò un problema per la Russia annettere l'altra porzione di territorio osseto e anzi, sarebbe anche consigliabile per evitare potenziali rivendicazioni etniche.
Appurato che non sembra essere l'etnia il fattore chiave agli sconvolgimenti crimeani, la risposta al dilemma ce la fornisce indirettamente lo stesso Obama, che nel suo breve accenno alla Russia, alludendo proprio alla Crimea, afferma che è “dai tempi della seconda guerra mondiale che una nazione europea non annette pare del territorio di un'altra nazione”. Le parole del presidente americano sono una neanche tanto implicita ammissione del termine dell'idea di un ambiente internazionale “cristallizzato”, i cui confini assumono una dimensione eterna e sacrale (ironico nell'epoca della globalizzazione), e dove eventuali mutamenti negli equilibri internazionali vengono decisi dall'alto delle due superpotenze impegnate nel conflitto freddo prima, e dall'egemone americano poi, sulla base di più o meno credibili rivendicazioni “dal basso” da parte di un popolo che dichiara la propria volontà a staccarsi dallo stato. A finire, perciò, è quell'idea di “fine della Storia”, teorizzata dal celebre politologo Fukuyama, dove modifiche e sconvolgimenti nell'ambiente internazionale sarebbero state sempre più un eccezione, scosse d'assestamento precursori di un'epoca dove ogni conflitto e mutamento sarebbe sparito grazie al trionfo del progresso e della democrazia.
Il continente europeo sembrava essere destinato ad essere l'avanguardia di questo percorso, eppure la Russia, pur nel periodo di crisi seguito al crollo dell'Unione Sovietica, sembrò esser riuscita a comprendere, nel corso dell'ultimo decennio, che senza la “pax” garantita dalla forza militare delle superpotenze (nonché dell'unica superpotenza, gli Stati Uniti, dopo la Guerra Fredda) come deterrente a qualsivoglia progetto d'annessione ed espansione tale processo era destinato a svanire come polvere nel deserto. Negli ultimi due decenni anni Mosca ha costantemente annusato il terreno, porgendo la mano sempre più avanti e analizzando fino a quando poteva muoversi senza urtare troppo il resto della comunità internazionale. Del resto,avete per caso mai visto grandi proteste in Occidente a sostegno della Georgia o della Moldova?
Con l'annessione della Crimea, la Russia ha mostrato che non ha più bisogno di creare una piccola nazione fantoccio ai suoi confini, mettendo così la parola fine al il tabù sulla sacralità dei confini nazionali di fronte alle altre nazioni (ribadito da Obama nel corso della conferenza con un tono che ha più del rimpianto che della minaccia).
Il nuovo presidente  ucraino Poroshenko sembra essere consapevole di ciò, ed è intenzionato a non replicare la passività dimostrata dal governo provvisorio ucraino davanti ai fatti avvenuti in Crimea. A un giorno dalla sua elezione, Poroshenko ha lanciato una massiccia offensiva contro i separatisti filo russi dell'Est culminata in una sanguinosa battaglia all'aeroporto di Donetsk.
Attualmente la situazione, sembra volgersi verso timidi tentativi di dialogo tra le parti in lotta. Un fulmineo successo dell'europeista Poroshenko? Forse. Dovuto alla speranza data dall'Europa? Naturalmente no. I separatisti dell'est del paese hanno espresso la loro volontà nel porre fine ai conflitti a patto che sia proprio la Russia a fare da arbitro tra loro e il governo centrale. A sua volta la Russia si è detta disposta a dialogare se il nuovo governo ucraino interrompe le operazioni militari ai danni dei separatisti filo russi. L'apparente successo di Poroshenko sta dunque, dopo la teatrale operazione militare nell'est a seguito della sua elezione (d'altra parte aveva promesso di “riportare l'unita nazionale entro le prossime dodici ore”), nel tentare un approccio più cauto e dimesso.
Obama ha quindi l'assoluta necessità d'impedire che la Russia non subisca il contraccolpo d'immagine e politico causato dall'annessione alla Crimea verso l'Ucraina stessa. Passando per pacieri nelle regioni dell'est ucraino non solo avrebbero la possibilità di ripulire la propria immagine da invasori a salvatori della patria ma, nei fatti, aprirebbe a Mosca la possibilità di non dover più rinunciare a una parte, se non all'intera Ucraina, nella sua zona d'influenza come prezzo per la Crimea.
Ecco quindi la promessa pioggia di dollari per investimenti militari nell'Est Europeo. Basteranno a ridare verve al nuovo presidente ucraino e a spegnere il fuoco espansionista russa o si impiglieranno nella rete tessuta da Mosca sopra il cadavere dell'utopica “fine della storia”?

M.Annunziata

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