Fino al processo di Bologna, conseguenza dell’integrazione
europea, l’Italia era dotata di un sistema universitario piuttosto rigido dal
punto di vista delle valutazioni: il numero dei laureati era infatti molto
basso ed in molti erano costretti ad abbandonare il percorso. Il numero dei
laureati tra la popolazione era molto basso. I corsi di laurea erano tutti
quinquennali o quadriennali.
Generalmente chi riusciva ad ottenere un titolo di
studio era molto ricercato sul mercato del lavoro a causa dello scarso numero
di laureati.
La riforma dell’università ha completamente cambiato questo
quadro: è stato introdotto il modello 3+2 ovvero quasi tutti i corsi di
laurea sono stati spezzati in due parti: un precorso triennale che dava accesso
ad una laurea di primo livello ed una specializzazione che si concludeva con
una laurea di secondo livello. Le lauree quadriennali sono state allungate di un anno e
spezzate allo stesso modo.
Obiettivo della riforma era anche quello di aumentare il
numero dei laureati al fine di avere una manodopera più specializzata.
A più di un decennio dall’introduzione di questo sistema
quali sono stati i risultati?
A dire la verità l’impatto della riforma non è stato positivo non tanto a causa della nuova struttura ma
di come essa è stata applicata.
La struttura del 3+2 infatti è stata pensata dalla UE per
permettere agli studenti universitari di dedicarsi maggiormente allo studio nei
primi tre anni e successivamente, negli ultimi due, di specializzarsi anche
tramite una esperienza lavorativa. Il modello del 3+2 è stato così interpretato
nel nord Europa dove effettivamente le università si concentrano sulla teoria
nei primi 3 anni per poi utilizzare gli ultimi due come una sorta di “ponte”
tra il mondo dello studio e quello del lavoro.
Non la stessa cosa è avvenuta nel nostro paese: il 3+2 è
stato applicato solo come una scissione del precedente percorso quinquennale. I
tempi dell’università si sono allungati perché spesso per motivi burocratici si
era costretti ad attendere un anno tra la fine della triennale e l’inizio della
specialistica.
Si è tentato di promuovere la laurea triennale come una
laurea vera e propria ottenendo scarsi risultati perché le statistiche ci
dicono che sul mercato del lavoro i reclutatori hanno continuato a preferire le
lauree di cinque anni rispetto a quelle di tre.
Contemporaneamente non ci si è focalizzati nella maniera
adatta sul percorso specialistico: esso è stato interpretato come una sorta di
prolungamento della triennale quando invece avrebbe meritato maggiore cura
nella sua realizzazione fosse non altro per la preferenza manifestata dal mondo
del lavoro per questo percorso.
A subire il danno maggiore sono state le lauree quadriennali
come economia e scienze politiche che si sono ritrovate a dover allungare il
loro corso di studi quando ciò non era necessario.
La severa crisi economica in cui siamo coinvolti ha cambiato
di molto le carte in tavola: oggi è più difficile trovare lavoro anche per chi
ha alti livelli di qualificazione a causa dell’alta disoccupazione e delle
minori opportunità d’impiego anche se le statistiche dimostrano che le persone
più qualificate detengono ancora un certo vantaggio.
Spesso le aziende richiedono sin dall’inizio esperienza,
caratteristica che i giovani neolaureati o neodiplomati non possono avere. Come
si può fare per cercare di migliorare la situazione?
Occorre avviare un accordo tra università e mondo del lavoro
al fine di creare un collegamento tra università ed impresa che al giorno
d’oggi non esiste o comunque è scarso.
Questo tipo di collaborazione può essere avviato sfruttando
i percorsi già esistenti sul modello di quanto già fatto in altri paesi
europei.
Si potrebbe, per esempio, concepire una laurea triennale
incentrata interamente sullo studio e sulle nozioni. Tale percorso deve essere
molto selettivo poiché deve porsi come filtro per l’accesso al biennio
successivo. La laurea triennale di per se non rappresenta un traguardo dal
punto di vista lavorativo ma solo uno step di un percorso che sfocia
automaticamente nella laurea specialista.
L’interno percorso biennale della specialista va rivisto:
essa non deve più essere una aggiunta di nozioni ma deve diventare una
esperienza formativa di tipo pratico che fa da ponte tra il mondo
dell’università e quello del lavoro.
Per scendere nel concreto ci si potrebbe organizzare nel
seguente modo: attualmente la laurea specialistica prevede l’ottenimento di 120
crediti per il rilascio del titolo.
Questi crediti si ottengono
quasi esclusivamente attraverso lo svolgimento di esami.
Si potrebbe riformare il percorso stabilendo, per esempio,
che 60 crediti su 120 vanno ottenuti tramite esperienze lavorative, tirocini in
azienda, corsi di formazione professionale ed esperienze formative simili.
Questo potrebbe essere un buon modo per creare un ponte tra
mondo del lavoro ed università cercando di venire incontro sia alle imprese che
agli studenti.
D.Deotto.
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