Con un messaggio di fine anno breve e coinciso il presidente
della repubblica Giorgio Napolitano annuncia alla nazione che abbandonerà il
proprio incarico. Non è stato un messaggio di fine anno scoppiettante: al
contrario si è limitato a comunicare la fine del proprio mandato.
Forse nemmeno Napolitano avrebbe mai immaginato che il suo
mandato sarebbe diventato uno dei più importanti e discussi della storia
repubblicana.
Fu eletto per il suo primo mandato nel 2006 succedendo
Ciampi. Quest’ultimo fu un presidente molto autorevole e stimato da tutti gli
schieramenti politici. La figura di Napolitano sembrava di stazza inferiore ed
i primi anni del suo mandato sembravano delineare una presidenza tranquilla fin
quasi anonima.
Un primo segnale di cambiamento ci fu durante la rottura tra
Fini e Berlusconi quando il ruolo di Napolitano fu abbastanza importante perché
permise al cavaliere di trovare quella maggioranza che pareva fosse venuta a
mancare. Il mandato di Napolitano tuttavia cambiò radicalmente nel 2011 quando
in seguito alla crisi finanziaria che stava investendo il paese Berlusconi fu
costretto a dimettersi. Napolitano qui giocò un ruolo fondamentale: verificato
di non avere più la maggioranza in parlamento, Berlusconi fu invitato a
dimettersi solo dopo aver approvato la legge di bilancio. Senza passare per le
elezioni, Napolitano formò un esecutivo guidato da Mario Monti.
In quel momento l’Italia si trovava sotto un fortissimo
attacco speculativo. Napolitano decise di non passare per le urne nominando un
esecutivo tecnico che durò ben un anno. Fu una decisione importante: in una
simile situazione in Spagna si decise di andare alla urne rimettendo agli
elettori la scelta del nuovo governo. In Italia si preferì un esecutivo tecnico.
La formazione di questo nuovo governo avvenne sotto la decisiva influenza del
presidente della repubblica. Sua fu la decisione e la responsabilità di agire
in questo modo.
Secondo momento decisivo fu la sua rielezione a presidente
della Repubblica, caso unico nella storia della repubblica. Dopo che fu
bruciata la candidatura di Prodi, il parlamento non riusciva più a trovare un
candidato gli fu chiesto dalle forze politiche di continuare il suo mandato e
così fu rieletto.
E’ difficile poter definire il mandato di Napolitano subito
dopo la scadenza del suo mandato perché molte su decisioni passeranno alla
storia e quindi molto dipenderà dagli eventi futuri. La sua presidenza ha avuto
lati di luce e d’ombra. Vale la pena però soffermarsi su due importanti lezioni
che possiamo trarre.
La prima riguarda la dilatazione dei ruoli del presidente
della repubblica. Sebbene in Italia questo ruolo abbia sempre avuto una certa
importanza mai nella storia repubblicana nessuno si era spinto così in là
prendendo decisioni così importanti per il futuro del paese. Napolitano si è
trovato in queste situazioni a causa della palese inadeguatezza della nostra
legge elettorale e della nostra forma di governo.
La difficoltà nel poter trovare un maggioranza e l’estrema
volatilità dei presidenti del consiglio è stata compensata dal Presidente della
Repubblica che ha assunto un ruolo di primaria importanza.
Dopo questa presidenza dunque si pone in maniera forte la
necessità di una riconfigurazione della nostra forma di governo: legge
elettorale maggioritaria o proporzionale? Presidenzialismo o parlamentarismo?
Porsi queste domande in Italia non è solo obbligatorio ma
pure prioritario perché lo stato non funziona più e senza il protagonismo dei
singoli politici non si riesce ad andare avanti.
La parte più in ombra riguarda senz’altro il metodo con cui
sono state prese decisioni molto importanti: esse confermano quello che è un
difetto tipico del nostro paese ovvero che in Italia quando bisogna prendere
decisioni importanti si tende ad aggirare gli organi rappresentativi. La scarsa
fiducia nelle elezioni e nel parlamento è purtroppo un tratto tipico della
nostra nazione. Napolitano nel 2011 decise che il governo Monti avrebbe fatto
le riforme, quelle riforme, che avrebbero avuto un impatto decisivo sulla vita
di milioni di italiani, sarebbero state varate da un governo non eletto. E’ una
decisione singolare perché in un clima di emergenza simile in Spagna il re
decise di sciogliere le camere e mandare tutti alle urne poiché si sapeva che
qualsiasi governo avrebbe dovuto prendere decisioni molto difficili ed era
quindi necessario fosse legittimato dal voto.
La decisione di Napolitano ricorda molto una decisione presa
giusto un secolo fa da Vittorio Emanuele III: nel 1915 il re decise senza
consultare il parlamento di entrare in guerra a fianco dell’intesa trascinando
l’Italia in una guerra lunga e sanguinosa. Allora Vittorio Emanuele agì così
perché sapeva che il parlamento era in mano a Giolitti, convinto neutralista, e
che mai avrebbe ottenuto l’autorizzazione. Il re quindi preferì non consultare
il parlamento per prendere una decisione di importanza storica. Non fu l’unico
esempio nella storia d’Italia: diverse volte nei decenni a venire si preferì
agire in questo modo bypassando gli organi di rappresentanza.
La decisione che Napolitano prese nel 2011 ricalca senza
dubbio, nel bene e nel male, questo filone. Segno che in Italia esiste una
mentalità diffusa di estrema sfiducia nei confronti delle assemblee legislative
e delle consultazioni popolari. Da questo punto di vista Napolitano non può
essere considerato un innovatore perché la sua condotta ha perfettamente
seguito questa mentalità che, da quando fu inaugurata nel 1915, si è ripetuta
quasi sempre nei momenti più importanti della storia del nostro paese.
Il mio augurio è che nel futuro prossimo le cose possano
cambiare e che anche in Italia finalmente si possa giungere ad una modalità
decisionale maggiormente condivisa.
D.Deotto
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