venerdì 30 maggio 2014

ELEZIONI EUROPEE: AVANZA LA DESTRA RADICALE IN CRISI IL SOCIALISMO


Queste elezioni europee hanno ridisegnato completamente la rappresentanza all’interno del parlamento: primo partito con il 28,3% è il Partito Popolare Europeo, secondo il Partito Socialista Europeo con il 25,1%, i liberali con 8,5%, Verdi a 6,9%, i conservatori con 5,8%, il gruppo della sinistra a 5,7%, infine un folto gruppo di partiti euroscettici o non iscritti ad alcuna lista aventi però una consistenza di circa 150 seggi.
Si tratta del Front National di Marine Le Pen, l’Ukip di Nigel Farrage, il M5S di Beppe Grillo, AL Lega Nord, il FPO austriaco, il PVV olandese ed Alba Dorata.
Analizzando il voto possiamo dire che il PPE rimane il primo partito europeo pur vedendo ridimensionato il proprio consenso rispetto al precedente turno elettorale. Il PPE sarà inoltre attraversato da forte tensioni dovute ai diversi interessi nazionali dei partiti di cui è composto. Sembra infatti molto difficile che movimenti come la CDU della cancelliera Merkel possano andare D’accordo con Forza Italia oppure con la UMP francese. C’è il grosso rischio che all’interno del raggruppamento si crei una frattura tra deputati del nord, favorevoli all’austerity e deputati del sud Europa fortemente contrari ad essa. E’ molto probabile che il candidato alla commissione europea sarà scelto tra le fila di questo partito ma sicuramente non si tratterà di Junker candidato inviso a molti partiti.
L’arretramento dei popolare tuttavia non corrisponde ad una avanzata dei socialisti che si limitano a mantenere gli stessi consensi della scorsa tornata elettorale. La causa di questo risultato è la crisi dei partiti di centro sinistra che si è verificata in quasi tutti i paesi europei esclusa l’Italia. In quasi nessun paese essi riescono a superare la soglia del 30% e sono molto spesso superati dai partiti di ultra destra: clamorosi gli esempi della Francia e del Regno Unito.
Questo risultato dovrebbe far riflettere il PSE perché ci troviamo davanti ad una crisi del socialismo. Effettivamente già da qualche l’anno l’offerta politica socialista così come conosciuta risulta essere poco convincente sul piano elettorale. Il socialismo europeo è fortemente ancorato a valori sviluppati negli anni settanta, che oggi sembrano molto distanti dalla vita delle persone.
Basti solo pensare che la formazione più numerosa all’interno del PSE sarà il Partito Democratico di Matteo Renzi ovvero la formazione politica che più di ogni altra ha deciso di svoltare verso il centro, tentando di porsi come nuovo punto di riferimento per l’elettorato moderato.
Male anche i liberali che, agganciandosi all’idea al momento utopica degli Stati Uniti d’Europa, finiscono per perdere molti consensi persino nei paesi dove la loro presenza è tradizionalmente forte.
I veri vincitori di questa tornata elettorale sono i partiti euroscettici di ogni estrazione: si è infatti verificato un leggero aumento della sinistra radicale capitanata del greco Tsipras, ed una enorme crescita della destra radicale guidata dall'Ukip inglese e dal Front National francese.
Non è ancora chiaro come tutti questi movimenti euroscettici decideranno di coordinarsi ma all’orizzonte sembrano profilarsi due gruppi divisi con a capo Nigel Farage da una parte e la Le Pen dall’altra.
La cause che hanno portato all’emergere di questi movimenti sono da riscontrarsi nel cattivo funzionamento dell’Unione Europea. In particolare le fallimentari politiche economiche e l’incapacità di gestire il fenomeno dell’immigrazione, interna ed esterna all’Unione, sono da considerarsi le cause scatenanti principali.
L’Europa è ormai al centro di una crisi occupazionale che dura ormai da sette anni ed i cui effetti non accennano ad attenuarsi. Le politiche di rigida austerity fino ad ora sponsorizzate soprattutto della cancelliera Merkel si sono dimostrate incapace di porre rimedi significativi. L’incapacità dell’Unione nel cambiare politiche economiche è sicuramente uno dei principali motivi della crescita dei movimenti euroscettici.
Non va sottovalutato nemmeno il problema dell’immigrazione che richiede sempre di più una gestione comunitaria che non c’è. Paesi quali l’Italia sono martoriati dai continui sbarchi di immigrati in fuga dal nord-africa senza possibilità di poterli contrastare efficacemente.
Il problema dell’immigrazione è anche interno: il veloce e disordinato espansionismo della UE ha portato ad un rapido abbattimento delle frontiere e ad una progressiva liberalizzazione del commercio senza però una estensione dei diritti sociali. Ne consegue uno squilibrio ancora evidente tra Europa occidentale ed orientale che porta con se maggiori disuguaglianze e distorsioni economiche.
Questa nuova legislatura europea dunque inizia all’insegna dell’incertezza e dell’emergere delle forze euroscettiche, le quale si può star certi faranno di tutto per mettersi in evidenza in parlamento.
Una cosa è certa: siamo arrivanti ad un punto in cui l’Europa non può più far finta di non vedere i problemi che la colpiscono. Pena il naufragio dell’intero progetto europeo.
Con questa avanzata delle formazioni euroscettiche, infatti, chi oggi volesse rilanciare il progetto di integrazione europea dovrà necessariamente inventarsi un nuovo europeismo non più basato sulla burocrazia e calato dall’alto ma che viene dal basso e tiene in giusta considerazione le esigenze dei popoli. 

D.Deotto

mercoledì 28 maggio 2014

LA GRANDE VITTORIA DI MATTEO RENZI




Le elezioni europee del 25 Maggio hanno consacrato come vincitore assoluto Matteo Renzi.
La vittoria del politico fiorentino era stata ampiamente annunciata dai media ma nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe stata di queste proporzioni. Tutti si aspettavano un testa a testa con il M5S ma ciò non è avvenuto. Il PD è riuscito a doppiare il proprio avversario ed a garantirsi un ampio appoggio popolare.
La vittoria di Renzi è stata netta soprattutto al nord, lo stesso nord che nel 2013 aveva bocciato alle elezioni nazionali il Pd guidato da Pier Luigi Bersani e la vecchia classe dirigente PCI-PDS.
Dopo la vittoria alle primarie Renzi ha dato una svolta centrista al partito che aveva attirato su di lui molte critiche sia in Italia che all’estero. Altrettanto criticata la sua decisione di fare le riforme istituzionali assieme al centrodestra tanto che i suoi detrattori speravano in queste europee per disarcionarlo.
Gli elettori italiani invece hanno deciso di accordare un’ampia fiducia al premier che ora si vede legittimato da un voto popolare molto ampio. Nella sua storia il centro-sinistra non aveva mai vinto con il 40% dei consensi: si tratta di numeri che evocano le vittorie della SPD tedesca dopo Bad Godesberg.
Il risultato è ancora più straordinario se inserito in un contesto europeo in cui molti partiti di centrosinistra hanno subito una pesante sconfitta. La linea moderata di Renzi è risultata vincente in Italia portando il PD a distinguersi dalle controparti europee e ad affermarsi in maniera decisa.
Il grande sconfitto di questa tornata elettorale è il M5S, partito che molti davano per vincitore dopo i recenti scandali all’expo di Milano. Il movimento di Grillo ha perso circa 3 milioni di elettori ed è stato addirittura doppiato dal PD. Grillo paga una linea troppo intransigente ed una gestione del movimento troppo verticistica. Il suo definirsi “oltre Hitler” ed il suo rifiuto di collaborare con qualsiasi forza politica ha generato lo stesso effetto che l’intransigenza del PCI aveva provocato alle elezioni del 1948 e del 1976.
La partita di queste elezioni infatti non è stata tanto quella della rabbia contro la speranza quanto rabbia contro paura. La rabbia verso un paese che non funzione e che si vorrebbe distruggere a confronto con la paura di peggiorare ulteriormente la situazione. L’esito è stato che gli elettori, spaventati dall’intransigenza di Grillo, hanno preferito dare fiducia al cambiamento moderato di Renzi rispetto ai propositi rivoluzionari dei M5S. Sembra invece piuttosto grave tra i pentastellati l’incapacità di ammettere la sconfitta ed i propri errori: il movimento pare rifugiarsi in uno sterile “gli elettori non hanno capito” che ricorda molto le sconfitte della vecchia sinistra a trazione PCI-PDS.
Una grande batosta è arrivata anche al centrodestra italiano diviso ed incapace di risultare una alternativa credibile al PD di Renzi. Nessun sondaggio dava per vincente il centrodestra ma il risultato è stato al di sotto delle peggiori aspettative. Forza Italia ne esce con un modesto 15% (il risultato più basso di sempre) mentre NCD supera a stento la soglia di sbarramento. Fratelli d’Italia chiude con un anonimo 3,5% e nessun seggio in parlamento. Il centrodestra italiano, diviso, privo di una leadership credibile, privo di idee nuove e completamente incapace di iniziare un ricambio generazionale è stato punito dagli elettori.
Va evidenziato in particolare come il centrodestra sia stato abbandonato dal nord-italia da quelle regioni che nel 2008 decretarono la sua grande affermazione. Oggi pare che l’asse produttivo del lombardo-veneto non consideri più l’attuale centrodestra come una alternativa credibile.
Se il centrodestra italiano vorrà ancora proporsi come una valida alternativa al PD dovrà per forza di cose cambiare leadership e diventare una moderna destra liberale e moderata altrimenti sarà destinato a diventare un movimento marginale in difficoltà a superare persino il risultato del M5S.
Nel disastro dei partiti della ex coalizione del centrodestra riesce a tenere il botto soltanto la Lega Nord di Matteo Salvini che, seppure lontana dai momenti d’oro, riesce a portare a casa un 6-7% che sa molto di rivincita dopo i risultati disastrosi della precedente tornata elettorale. Si può non condividere le idee del nuovo segretario ma va oggettivamente riconosciuto al carroccio di aver cambiato facce ed idee.
Alle europee il partito si è infatti presentato con gli emergenti Matteo Salvini e Flavio Tosi, i quali forti del proprio consenso a livello locale, hanno evitato il disastro. LN è tuttavia destinata a rimanere un partito di nicchia e sembra davvero molto difficile che un centrodestra credibile anche per i moderati possa essere rappresentato da un movimento che è alleato di Marie Le Pen.
In definitiva queste elezioni ci insegnano una cosa: chi in questo momento ha la voglia e la capacità di cambiare persone e leadership può vincere mentre chi continua a presentare sempre le stesse persone non risulta attraente. Nel PD a trazione Renzi il ricambio generazionale è evidente e ne è testimone la valanga di preferenze prese da candidati nuovi come Alessandra Moretti. Nel suo piccolo la Lega Nord mettendo in campo Tosi e Salvini è riuscita ad evitare il disastro. Chi invece come FI e NCD non hanno saputo fare la stessa cosa sono state notevolmente ridimensionate.
Questo risultato elettorale darà forza al PD per proseguire le riforme mentre il centrodestra sarà costretto ad una profonda riflessione se vorrà ancora essere un’alternativa credibile. 

D.Deotto

sabato 24 maggio 2014

IL SUCCESSO DELLA ABENOMICS





Il Giappone è considerato la terza potenza economica mondiale alle spalle degli Stati Uniti e Cina. La sua industria è una delle più avanzate ed imponenti al mondo ed è dominata dal settore automobilistico e dell’elettronica di consumo. Molto sviluppati anche il settore siderurgico, chimico, farmaceutico e videoludico. Il Giappone è inoltre uno dei paesi più avanzati tecnologicamente al mondo. Anche a livello finanziario, il paese del sol levante non se la passa male essendo Tokyo la borsa di Tokyo la più importante di tutta l’Asia. Nel paese possiamo trovare sia grandi multinazionali che piccole e medie imprese.
Il Giappone è stato protagonista di un vero e proprio miracolo economico che lo ha portato a crescere ininterrottamente dagli anni 60 all’inizio degli anni 90. Durante questo trentennio il paese è diventato uno dei più ricchi al mondo fino alla crisi economica degli anni 90 che ha portato il paese ad un deciso rallentamento. Il governo giapponese decise di affrontare la crisi applicando politiche di tipo neoliberista ma il tentativo si rivelò fallimentare. Furono applicate anche ricette di austerity e di controllo della spesa pubblica senza però ottenere alcun risultato se non cadere nella trappola della liquidità, alimentare aspettative negative che hanno portato ad una contrazione dei consumi e l’aumento della disoccupazione.
L’emergere di nuove potenze economiche in Asia come la Cina e l’India ha costretto il Giappone a trovare una soluzione ai problemi di stagnazione ed a cercare di rilanciarsi come potenza economica.
Il premier Shinzo Abe, eletto a dicembre 2012, ha creato una ricetta originale che prende il nome di “Abenomics”, che si basa su tre proposte: una politica fiscale espansiva mirata a stimolare la crescita attraverso l’aumento della spesa pubblica. Una politica monetaria espansiva. Infine un programma di riforme strutturali di lungo periodo che consenta un aumento degli investimenti del settore privato, maggiore concorrenza e un innalzamento del tasso di popolazione attiva.
Sul piano fiscale il governo ha stanziato 90 miliardi di euro destinati al risanamento e ricostruzione della prefettura di Fukushima e delle zone danneggiato dal recente Tsunami, alla ricerca ed allo sviluppo tecnologico, alla espansione del welfare ed all’aumento del tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro, la creazione e l’ammodernamento delle infrastrutture. Per cercare di rientrare un minimo nelle spese si è deciso di aumentare progressivamente l’iva dal 5% al 10%. In ogni caso il deficit pubblico è arrivato al 11,5% nel 2013.
Lo stimolo fiscale sarà accompagnato da una politica monetaria espansiva che ha come obiettivo finanziare la spesa pubblica e portare il Giappone fuori dalla deflazione. In parole povera il Giappone stamperà moneta per un equivalente di 1,4 miliardi di dollari fino ad arrivare ad un tasso di inflazione del 2%.
Per rendere possibile questa manovra, Abe ha nominato a capo della banca centrale l’economista Haruiko Kuroda famoso per essere sempre stato molto critico nei confronti della politiche di austerity.
La mente di Abenomics è Koichi Hamada, professore della Yale e oggi consigliere del ministro delle finanze.
Egli ha duramente criticato le misure di austerity ed in generale le politiche neoliberiste accusandole di aver gettato il Giappone nella stagnazione economica e di aver reso troppo forte lo Yen.
Non a caso infatti troviamo tra le misure del governo Abe una svalutazione della moneta.
Secondo il professore di Yale inoltre una svalutazione avrebbe condotto ad una diminuzione del debito pubblico reale a patto che esso continuasse ad essere detenuto da risparmiatori giapponesi.
Infine il premier giapponese propone una serie di riforme strutturali aventi come obiettivo una maggiore apertura dei mercati giapponesi nel tentativo di rompere la struttura altamente collusiva dell’economia giapponese. Punto fondamentale per il completamente di queste riforme è l’adesione alla Trans pacific partenership, un accordo economico che ha come obiettivo la riduzione dei dazi e delle tariffe doganali tra i paesi del pacifico.
La Abenomics ha attirato le critiche di molti detrattori ma il premier giapponese ha deciso comunque di applicarla. Le prime due manovre sono state attuate molto rapidamente in quanto accompagnate da un notevole consenso popolare. L’ultima parte della manovra invece richiederà più tempo per essere implementata perché va a contrastare con gli interessi di potenti lobbies.
Ma quali sono stati fino ad ora i risultati di questa nuova politica economica?
Il paese è finalmente uscito dal periodo di deflazione, il pil è cresciuto del 5,9% nel primo trimestre di quest’anno, le famiglie giapponesi hanno aumentato i consumi del 5%, la propensione all’investimento è aumentata e nel corso del 2013 la borsa giapponese è aumentata del 50%. 
Lo Yen, svalutato per effetto della politica monetaria espansiva, ha riacquistato competitività sui mercati internazionali e la disoccupazione è scesa al 4%.
Forse i numeri del 2013 possono sembrare “pompati” dalle manovre allora recentissime ma anche quest’anno il Giappone sta continuando a crescere a ritmi elevati nonostante l’iva sia aumentata del 3%.
Resta da vedere quale sarà l’effetto dell’ulteriore crescita dell’iva prevista per il 2015 certo che la situazione del Giappone è completamente diversa rispetto al 1997 quando il paese, a causa dell’austerity e dell’aumento delle tasse, rischiò di andare in bancarotta precipitando in un periodo di profonda recessione. 

D.Deotto

mercoledì 21 maggio 2014

ALLUVIONE IN CROAZIA E BOSNIA



In questi giorni la Croazia e la Bosnia sono state colpite da una pesante alluvione che ha creato una emergenza umanitaria.
La zona più colpita è stata quella della Croazia orientale attorno alla zona della Sava, fiume che in quella zona riceve un gran numero di affluenti tutti colpiti da piogge torrenziali.
Migliaia di persone hanno perso la casa e tutti i propri averi e ci sono stati numerosi morti e dispersi.
Molte persone si sono infatti rifiutate di abbandonare la propria abitazione per paura di perdere il bestiame e, quando gli argini hanno ceduto, si sono ritrovate isolate.
Le acque del fiume sono straripate ed interi paesi sono state sommersi dall'acqua causando dei danni che saranno incalcolabili finchè le acque non si saranno ritirate.
Le zone colpite sono prevalentemente agricole quindi è facile prevedere che saranno migliaia gli agricoltori che rimaranno senza bestiame e senza raccolto.
Il governo croato si è mobilitato per soccorrere i bisognosi ma il paese necessità di aiuti internazionale a causa dello stato di profonda crisi economica in cui versa.
Non sono mancate le polemiche tra maggioranza ed opposizione: il sindaco di Zagabria Milan Bandić ha infatti rimproverato il governo di non gestire al meglio le operazioni di soccorso.
In ogni caso i partiti hanno interrotto la campagna elettorale in corso per le elezioni europee per destinare i fondi alle vittime dell'alluvione.
Migliai di volontari si sono resi disponibili da tutte le parti della Croazia per soccorrere i sopravvissuti.
I villaggi più duramente colpiti sono stati Gunja, Rajevo Selo e Račinovici dai quali sono state evacuate 15000 persone. Attualmente non si possono stimare i danni perchè dalla grande marea d'acqua emergono soltanto i tetti delle case.
Molte critiche sono state rivolte all'azienda di stato che gestisce i fiumi in Croazia: sono infatti saltati non solo i vecchi argini ma anche quelli costruiti di recente. Si è inoltre scoperto che molti lavori programmati da tempo non sono in realtà mai stati eseguiti.
Il governo croato ha ordinato un inchieste per accertare le responsabilità ma tutto ciò sembra davvero avere poco significato davanti a chi ha perso tutto.
La Croazia orientale non era mai stata colpita da alluvioni di questa dimensione e questo inatteso evento ha mobilitato tutto il paese e le comunità croate all'estero.
Ad Udine risiede da anni una comunità croata che sta attualmente raccogliendo aiuti da inviare nelle zone alluvionate. Servono soprattutto acqua, cibo in scatola ed a lunga conservazione, indumenti per bambini e scarpe. Chiunque fosse interessato a contribuire agli aiuti può contattare l'associazione Italo-Croata che ha sede a Tavagnacco in via ottaviano 11. La presidente è Tatjana Barkovic.
E' far arrivare gli aiuti anche presso Tutto Estetica in via Palladio 80 Tavagnacco.
Maggiori informazioni sono reperibili qui.

http://www.comune.tavagnacco.ud.it/territorio/associazioni/lista-associazioni/associazione.2009-04-09.3022615673

D.Deotto.

lunedì 19 maggio 2014

LO SCANDALO DELLE SEDIE "D'ORO"




Notizia di questi giorni è lo scandalo delle sedie destinate alla sede della Protezione civile in Friuli Venezia Giulia.
La Regione ha deciso di acquistare 108 sedie in alluminio al prezzo di 100.000 euro per la Protezione Civile e tale spesa è subito balzata all’occhio dei giornalisti regionali. Il Piccolo di Trieste ha subito messo in evidenza questa notizia chiedendosi il perché di una spesa così elevata per della banali sedie.
L’assessore alla sanità ha difeso questa operazione sostenendo che gli operatori della PC operano in condizione di forte stress ed hanno bisogno di equipaggiamento all’altezza e di ogni comfort per svolgere al meglio le loro mansioni.
Sicuramente comprendiamo il grande stress a cui sono sottoposti gli operatori e concordiamo sul fatto che debbano essere equipaggiati nel migliore dei modi. La mancanza di equipaggiamento per le forze dell’ordine e della protezione civile è senz’altro qualcosa di negativo che si ripercuote sulla vita qualità della vita dei cittadini e che sul lungo periodo si genera maggiore spesa rispetto a quella che si vorrebbe risparmiare.
Premesso questo andrebbero però sottolineate due cose.
Le sedie della protezione civile sono state acquistate dalla azienda americana Herman Miller quindi queste sedie sono state importante al di fuori del mercato comune.
Il nord est è notoriamente rinomato per la produzione di sedie soprattutto vicino ad Udine esiste il distretto della sedia di Manzano che proprio in questo periodo non se la sta passano particolarmente bene.
Che senso ha ordinare sedie negli Stati Uniti quando si sarebbe potuto tranquillamente commissionarle in regione? La domanda non è affatto stupida perché la Regione, anziché lanciarsi in una poco conveniente avventura commerciale, avrebbe potuto tranquillamente riunire i produttori di sedie del distretto di Manzano e commissionare loro la costruzione di 100 sedie.
In questo modo si sarebbe potuto usare i soldi pubblici in maniera utile ed intelligente perché il distretto della sedia avrebbe avuto lavoro ed avrebbe così tirato un sospiro di sollievo. Anche qualora nessuna azienda manzanese avesse mai prodotto questo tipo di sedie, sarebbe stata l’occasione buona per incentivare gli imprenditori a lanciarsi in un nuovo tipo di produzione che, oltre al lavoro, avrebbe potuto significare innovazione di prodotto e quindi nuovi mercati e guadagni.
Il secondo aspetto riguarda il prezzo delle sedie.
La regione ha speso circa 1000 euro per sedia per un totale di 100.000 euro. Ebbene navigando su internet si scopre che la sedia Aeron by Heman Miller è reperibile sui comuni siti di e-commerce ad un prezzo di quasi la metà 589,99 dollari pari a circa 430 euro. Questo è il prezzo della singola sedia quindi sarebbe lecito aspettarsi uno sconto per un ordine di 100 sedie.
http://www.madisonseating.com/aeron-chair-by-herman-miller-loaded-lumbar-carbon-wave-1-left.html
A questo punto risulta lecito chiedersi chi abbia condotto la trattativa commerciale perché le regole del commercio vogliono che si acquisti un prodotto alle condizioni più vantaggiose presenti sul mercato.
Questa regola dovrebbe essere ancora più valida quando si ha tra le mani denaro pubblico che di questi tempi scarseggia.
Dunque la domanda che viene spontaneo porre è se la trattativa sia stata o meno condotta ricercando le condizioni più vantaggiose. Lascio ad ognuno di voi trarre le debite conclusioni.
Certo che l’immagine della Regione non esce proprio bene da questo avvenimento.
Non solo le sedie sono state prodotto all’estero quando avrebbero potuto essere prodotte a casa nostra ma nemmeno sono state acquistate alle condizioni più vantaggiose possibili.
La Regione avrebbe potuto commissionare le sedie alle aziende di Manzano con una tipica operazione di tipo keynesiano instaurando così un ciclo virtuoso che avrebbe dato aria ad un settore che oggi soffre la concorrenza globale e magari spendere pure di meno. In questo modo si sarebbe speso poco e si avrebbe dato una mano ad altri friulani in difficoltà.
Invece si è optato per fare altro. In tempi di crisi sarebbe forse il caso di manifestare maggiore solidarietà ed attenzione verso il territorio. 

D.Deotto

sabato 17 maggio 2014

LA MINACCIA TOTALITARIA IN VENEZUELA





Errore che si commette molto spesso nel nostro paese è quello di idealizzare dei leader stranieri senza conoscere realmente la loro politica.
Una delle più grosse mistificazioni degli organi d’informazione italiani riguarda il Venezuela secondo alcuni da considerare un modello di democrazia imperfetta ma preferibile alla controparte occidentale.
Il guaio di questa mistificazione è che si presenta non solo in televisione ma è profondamente radicata anche a livello accademico a tal punto che i manuali di scienze politiche considerano il modello chavista come una “democrazia egemonica”.
Con tale termine si intende indicare un regime politico in cui un solo partito vince sempre le elezioni detenendo il potere per lunghissimo tempo (quindi niente alternanza) ma i diritti civili e politici sono mantenuti così come tutte le altre logiche democratiche. Vengono citati esempi illustri come l’Italia del dopoguerra, il Messico oppure il Giappone.
Nel caso specifico del Venezuela, Chavez viene identificato come il fondatore di una nuova forma di governo in cui il socialismo di stampo marxista, unito al nazionalismo, vanno a creare un sistema che è contemporaneamente socialista e democratico. Il socialismo del XXI secolo riuscirebbe quindi laddove ha fallito quello del XX ovvero nel conciliare la pianificazione economica con la libertà individuale.
Prove di questo successo sarebbero riscontrabili nel fatto che in Venezuela si vota, formalmente nessuna libertà individuale è stata soppressa ed il salario minimo è molto elevato.
In realtà tutte queste teorie non reggono e sono il risultato di una visione semplicistica della realtà sudamericana. In Italia si tende a giustificare ogni dittatura comunista in America Latina accusando gli Stati Uniti di esercitare un eccessivo dominio sul continente riducendo così l’intera politica latinoamericana ad una questione di politica estera. In questa ottica qualsiasi regime politico fomenti il nazionalismo in nome della liberazione dall’egemonia USA sarebbe giustificabile o comunque preferibile a qualsiasi alternativa.
Anzitutto andrebbe ricordato che la situazione in America Latina ai nostri giorni è differente rispetto a quella della guerra fredda: l’influenza statunitense è stata ridimensionata dalla esplosione dei nazionalismi avvenuta dopo la fine della Guerra Fredda. Attualmente il continente è diviso tra gli stati del pacifico del TPP (Cile, Perù e Colombia) più orientati verso il libero mercato e tendenzialmente filoamericani ed in paesi del MERCOSUR (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela) più diffidenti nei confronti degli Usa e con economie dove l’intervento dello stato è più rilevante. In particolare il Brasile sembra emergere come una potenza regionale di un certo peso tanto da essere considerato un BRICS.
Da segnalare anche la presenza dei paesi della “Alleanza Bolivariana” (Venezuela, Cuba, Equador) caratterizzati da economie marxiste ed un forte antiamericanismo.
La situazione nel continente è molto frastagliata e non esiste quell’unità nel nome dell’antiamericanismo che certi autori vorrebbero far credere.
Lasciando da parte le questioni legate alla politica internazionale, non esistono i presupposti per definire “democratico” il regime venezuelano.
Ciò che rende tale una democrazia liberale non è il voto ma l’esistenza di diritti individuali inviolabili da parte di qualunque autorità. Il voto non è il fine della democrazia ma un mezzo per poter eleggere i propri rappresentanti. Nessun voto popolare ha però facoltà di abolire i diritti fondamentali e nel momento in cui ciò avviene il voto è da considerarsi illegittimo. Infatti le democrazie sono caratterizzate dalla alternanza tra partiti di destra (generalmente più orientati verso il libero mercato) oppure partiti di sinistra (più orientati verso il controllo statale dell’economia). Ognuno di questi partiti ha diritto di orientare la società nella direzione più vicina alle proprie convinzioni ma fino ad un certo punto. Un partito di destra non può abolire i sindacati così come uno di sinistra non può abolire la proprietà privata. Questo perché esiste un nucleo di diritti fondamentali di tipo civile, economico e sociale considerati intoccabili.
Il regime instaurato di Chavez parla di democrazia solo a parole ma nei fatti ha trasformato il paese in un regime totalitario. I sindacati non allineati sono stati chiusi, i partiti diversi da quello al potere vengono fortemente limitati, nelle scuole i ragazzi vengono indottrinati, i giornali vengono chiusi, la violenza nei confronti degli oppositori è all’ordine del giorno così come le milizie armate non si fanno problemi a sparare sulla folla.
Non esiste alcun presupposto per definire il regime di Maduro come una “democrazia egemonica” mentre esistono tutti i presupposti per poterlo definire un regime totalitario.  Le caratteristiche di tale regime sono: la concentrazione del potere in capo ad un'oligarchia inamovibile e non responsabile (in questo caso il partito di Maduro), L’imposizione di una ideologia ufficiale (il socialismo del XXI secolo), la presenza di un partito unico di massa (di fatto gli oppositori vengono perseguitati), controllo delle forze dello stato ed uso del terrore (i generali sono stati esautorati e sostituiti da cubani fedeli al regime), completo controllo dell’informazione e della comunicazione (attualmente trasmettono e vanno in stampa solo i giornali autorizzati).
Come si può facilmente notare il regime venezuelano è molto più simile alle categorie del regime totalitario che a quelle della democrazia a partito egemonico. Il Venezuela di oggi assomiglia molto di più ad una repubblica sovietica che all’Italia democristiana.
La protezione di cui ha goduto Chavez tra alcuni ambienti intellettuali italiani non è accettabile così come non è accettabile la disinformazione che quotidianamente viene fatta nei riguardi del Venezuela anche a livello accademico.
Il regime chavista non è una “democrazia imperfetta” ma un regime sanguinario e repressivo che non ha nessuna pietà nei confronti dei suoi stessi cittadini che vengono torturati ed incarcerati.
Recentemente persino il Parlamento Europeo si è mosso contro le violenze operate dal governo di Maduro e la difesa del chavismo da parte di certi ambienti intellettuali risulta sempre più incomprensibile. 

D.Deotto