mercoledì 7 maggio 2014

LA CRISI DEI SINDACATI ITALIANI




Già ormai da molti anni in Italia assistiamo ad un fenomeno deleterio ovvero la degradazione dei sindacati da organi di rappresentanza dei lavoratori a gruppi d’interesse lobbistico.
Vicende recentissime purtroppo dimostrano quanto questo fatto sia una realtà. Partiamo da tre fatti di cronaca inequivocabili: Recentemente alcuni dipendenti della SEA a Malpensa colti a rubare tra le valige. Immediediatamente licenziati sono stati subito reintegreti dal giudice. 
Pochi giorni fa alcuni rappresentanti del sindacato di polizia hanno applaudito gli agenti accusati del omicidio Androvaldi rifiutandosi di porgere le dovute scuse ai familiari della vittima. 
Infine la trasmissione report ha messo in evidenzasvariati casi di abuso del permesso sindacale in Campania.
Questi tre casisono solo la punta del iceberg di un fenomeno ormai molto diffuso, che mette in evidenza come ci sia qualcosa che non va nel sindacato italiano: esso non difende più la dignità dei lavoratori ma è diventato un clan in cui si ragiona con logiche tribali.
I tesserati sono parte del clan ed in quanto tali vanno protetti ad ogni costo anche se questo significa proteggere delle persone che hanno commesso reati o che comunque non meritano alcuna difesa.
Questo tipo di logica è chiaramente visibile anche nella strenua opposizione dei sindacati a qualsiasi riforma del lavoro atta a ridurre il dualismo presente sul mercato del lavoro italiano.
Ancorati ad un modello vecchio di ormai trent’anni, i sindacati continuano imperterriti nella loro lotta contro la realtà danneggiando in questo modo chi deve entrare nel mercato del lavoro che si trova costretto a dover sopportare lunghi periodi di precariato o peggio disoccupazione.
L’ostinazione dei sindacati a cambiare le regole ci sono infatti costate un mercato del lavoro segmentato in cui una parte dei lavoratori è iper-protetta mentre un’altra è precaria.
Tutto questo ha provocato disaffezione dei lavoratori nei confronti del sindacato e ciò è ben visibile nell’identikit anagrafico dei tesserati: più della metà degli aderenti alle sigle sindacali sono pensionati, il resto sono dipendenti pubblici oppure categorei di lavoratori che godono di forte protezione.
In tutta la fascia degli under 40, giovani, partite iva invece gli iscritti ad una sigla sindacale si contano sulla punta delle dita per il banale motivo che essi non hanno nessun interesse ad iscriversi ad una associazione che non ha fatto e non sta facendo niente per loro.
Nel tempo i sindacati italiani si sono curati di rappresentare solamente gli interessi dei propri iscritti, i quali rappresentano una minoranza dei lavoratori.
Assieme a ciò va aggiunto l’atteggiamento di alcuni rappresentanti sindacali che abusano del loro incarico per fare assenteismo riversando le conseguenze di ciò sui loro colleghi.
Il ruolo di un sindacato nelle moderne democrazie è stato sintetizzato in maniera eccellente ad inizio dello scorso secolo dal socialista Enrico Leone. Secondo le teorie economiche neoclassiche, il lavoro è una merce e come tale è soggetta alla variazione dei prezzi. Il sindacato è indispensabile perché permette al lavoratore di difendere il prezzo del prodotto (il lavoro) da fluttuazioni indesiderate e potenzialmente dannose nella stessa misura in cui, per esempio, le politiche anti-dumping proteggono l’industria.
Il sindacato ha senz’altro una funzione fondamentale in una democrazia moderna poiché è l’unico strumento in mano al lavoratore per difendersi ma nell’Italia di oggi essi hanno smesso da tempo di avere questa funzione adottando una logica di clan deleteria soprattutto per i lavoratori stessi ormai abbandonati a se stessi e privi di rappresentanza. 
Gli attuali scontri verbali con il governo Renzi sono soltanto gli ultimi di una lunga serie e rischiano di finire nello stesso tregico modo in cui sono sempre finiti: uguali privilegi per gli iscritti ai sindacati e maggior precarietà per gli under 35. 

D.Deotto. 

Nessun commento:

Posta un commento

scrivi la tua opinione...