Il 2014 è il sesto anno di crisi economica dell’occidente.
Fino al 2010 la crisi sembrava aver toccato soltanto gli Stati Uniti tanto che
gli stessi burocrati della UE annunciavano soddisfatti il successo del modello
europeo. Nel nostro paese si sentiva un po’ di crisi ma tutto sommato le cose
non sembravano poi tanto gravi. Nel 2011 infine la crisi ha colpito anche
l’Europa andando a minare i debiti pubblici degli stati nazionali. Prima è
toccato alla Grecia, poi alla Spagna ed Infine all’Italia. Gli ultimi due anni
sono stati durissimi per il nostro paese ed hanno avuto conseguenze particolarmente pesanti sul piano sociale ed economico.
La produzione ha avuto una caduta verticale mentre la disoccupazione è schizzata alle stelle.
La produzione ha avuto una caduta verticale mentre la disoccupazione è schizzata alle stelle.
Nel 2014 il rischio default per gli stati del mediterraneo
si è eclissato ma si è entrati in una pericolosa situazione di mancata crescita
e riduzione dei pressi che rischia di compromettere qualsiasi possibilità di
ripresa.
Eppure tutti gli ingredienti per la ripresa ci sono: nuove
tecnologie fanno capolino, i capitali abbondano così come non manca la
manodopera qualificata ma tutti questi fattori non si stanno combinando in
maniera virtuosa lasciando l’Europa alla merce di gravi problemi sociali.
Il rischio più grave che si sta correndo è sul piano
dell’occupazione: si rischia di perdere una generazione di giovani altamente
qualificati ed allo stesso tempo di non riuscire a rimettere al lavoro persone
di 40-50 anni.
Nel primo caso chi sta pagando salato sono coloro che hanno
iniziato l’università prima dello scoppio e l’hanno finita dopo. Molti di
questi ragazzi hanno pianificato il loro futuro quando i requisiti d’ingresso
al mondo del lavoro erano radicalmente differenti rispetto a quelli di oggi.
Escono dalle università che si sentono “già vecchi” e già da riqualificare.
Dramma ancora peggiore è vissuto da persone di 45-50 anni
che, usciti dal mondo del lavoro, non riescono più a rientrarci perché
considerati troppo vecchi. Non solo giovani quindi ma la disoccupazione
colpisce un po’ tutti e l’accesso al mondo del lavoro sembra un muro
invalicabile. L’istruzione ed i titoli di studio non bastano più ma pure la riqualificazione
sta fallendo.
Questa situazione viene fomentata da leggi sul lavoro
completamente inadatte.
L’ingresso al mercato del lavoro continua ad essere troppo
difficile e mancano formule contrattuali adatte al reinserimento dei
disoccupati. I limiti d’età andrebbero completamente rivisti: per esempio i
contratti di apprendistato oggi non sono più utilizzabili dopo i 29 anni ma
spesso i lunghi periodi che richiede la ricerca del lavoro fanno facilmente
superare questa età.
Allo stesso modo chi è fuori dal mercato del lavoro e deve
riqualificarsi non ha alcun strumento contrattuale a proprio vantaggio.
Urgentissima una riforma del lavoro che cambia completamente
faccia all’Italia e restituisca a chiunque la possibilità di entrare nel
mercato del lavoro con relativa facilità.
A complicare la situazione c’è un sistema di welfare
completamente vecchio ed inadatto al mutato contesto. Strumenti quali la CIG,
per esempio, sono inadatti e danno una copertura non universale. Il sistema
pensionistico non garantisce una copertura ai precari o a chi vive lunghi
periodi di disoccupazione.
Serve una riforma degli ammortizzatori sociali in direzione
di una copertura universale.
Il rischio che si sta correndo è di creare una
disoccupazione strutturale difficilmente riassorbibile nel lungo periodi.
Questo creerebbe due problemi sociali non da poco: una generazione di giovani
qualificati frustrati che non riescono a trovare lavoro e se ci riescono non è
all’altezza delle loro capacità. Una generazione di persone di 40-50 che non
riescono più a lavorare e quindi che non prenderanno mai la pensione.
Questo articolo non vuole essere una descrizione tecnica
della stag-deflazione ma è un monito su quali potrebbero essere le pesanti
conseguenze sociali di questo fenomeno.
Per affrontare questi problemi servono azioni politiche
chiare e decise. Non è sufficiente sperare in una futura crescita oppure in un
risoluzione della crisi “dall’esterno”. E’ necessario agire direttamente su
questi problemi al fine di dare una risposta a chi, spesso già in giovane età,
ha perso la speranza.
D.Deotto
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