mercoledì 17 settembre 2014

UNA RIFORMA DEL LAVORO PER RILANCIARE L'ITALIA





L’autunno di quest’anno sarà un mese decisivo per l’Italia e per il governo. Era Febbraio quando Renzi assunse il potere promettendo di cambiare l’Italia. A otto mesi da quella data non è ancora cambiato molto se non una striminzita riforma del senato.
L’urgenza del nostro paese è rimane sempre e solo una: il lavoro. Con un tasso di disoccupazione al 13% e molti giovani costretti ad emigrare per sopravvivere questo tema dovrebbe essere il punto focale del governo. Ma non sono solo i giovani a soffrire: gravi problemi ci sono anche per gli over 40 che hanno perso il lavoro e non sanno più cosa fare per ritrovarne uno nuovo perché considerati vecchi.
Serve cambiare le regole, ma cosa ancora più importante, aumentare il carico di lavoro disponibile.
A tal proposito sembra ormai inevitabile una riforma fiscale che riduca considerevolmente le tasse permettendo all’economia di riaccendersi. Non sarebbe una cattiva idea una aliquota unica del 30% o particolari vantaggi fiscali per le imprese di recente apertura.
Indispensabile anche la riforma del lavoro: attualmente le due proposte di legge che circolano sono rispettivamente quella di Ichino e di Boeri. E’ poco importante quale delle due proposte vengano scelte. L’importante è riportare ordine in un mosaico che ormai conta più di 40 forme contrattuali di lavoro. La riforma deve infatti permettere non solo una facile e rapida assunzione ma anche la possibilità di stabilizzarsi. A tal proposito sarebbe utile, per esempio, innalzare all’età di 35 anni il limite massimo per il contratto di apprendistato. Indispensabile anche l’alternanza scuola lavoro durante l’università.
Un’altra iniziativa utile sarebbero i contratti di ricollocamento alla olandese per permettere a chi ha perso il lavoro dopo i 40 anni di potersi reinserire facilmente ed eventualmente riqualificarsi se richiesto.
E’ però indispensabile anche una riforma dei centri per l’impiego troppo spesso non all’altezza della situazione. Tempo fa un articolo su Panorama aveva messo in evidenza tutti i loro limiti e ad oggi la situazione non è migliorata.
Il difetto dei centri per l’impiego italiani è che troppo spesso si limitano ad essere dei giganteschi database in cui vengono raccolte domande ed offerte di lavoro, senza però far niente per metterle concretamente in contatto. Molto spesso sono gli stessi lavoratori a percepire come inutili queste istituzioni che spesso fanno fatica anche a consigliare percorsi formativi o indirizzi generali.
I centri per l’impiego dovrebbero essere riformati sul modello nord-europeo ovvero non dovrebbero limitarsi ad essere delle bacheche ma dovrebbero supportare attivamente il disoccupato indicandogli un ventaglio di possibilità a sua disposizione per potersi inserire nel mercato del lavoro.
Ecco quindi che sarebbe utile prevedere programmi di reinserimento soprattutto per chi ha perso il lavoro in età più avanzata. Tale modello è tuttavia realizzabile solo se i centri per l’impiego funzionano davvero e sono capaci di offrire un sevizio mirato.
Per quanto riguarda i giovani il problema è differente: spesso essi non conoscono il mondo del lavoro ed a volte nemmeno sono consapevoli delle possibilità presenti sul territorio. Sarebbe quindi auspicabile seguendo la strada di molti altri grandi paesi che l’Italia istituisse dei career center presso le università aventi come obiettivo l’orientamento ed il supporto del neolaureato. Anche qui esistono già modelli funzionanti soprattutto a livello di università private.
Insomma per concludere i prossimi mesi saranno determinanti per il nostro paese: sul tema della riforma del mercato del lavoro Renzi si gioca gran parte della propria credibilità e l’Italia tutte le speranze di una ripresa che con i giusti provvedimenti è possibile.
E’ però necessario svecchiare un paese fermo agli anni settanta al fine di rilanciare l’occupazione e ritornare il più presto possibile sul sentiero della crescita. Le riforme strutturali di per se non garantiscono la fine della disoccupazione ma sono un tassello importante senza le quali incrementare la spesa pubblica risulterebbe inutile.

D.Deotto

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